Opzione put e patto leonino
Un’opzione put, pur dando facoltà alla parte di cedere la sua partecipazione evitando di subire le perdite sociali può non costituire patto leonino
Con sentenza n. 9301/2015 del 06/08/2015, la Sezione Specializzata in materia d’impresa del Tribunale di Milano si è espressa circa l’eventuale qualificabilità della c.d. “opzione put” come patto leonino contrario al dettato normativo dell’art. 2265 c.c.
Va innanzi tutto chiarito cosa si intenda per “opzione put”. Essa può essere definita come ilcontratto in base al quale l’acquirente dell’opzione acquista il diritto, ma non l’obbligo, di vendere un titolo (azioni o quote di società in genere) ad un prezzo e ad una scadenza stabiliti, mentre l’altra parte, nel caso in cui vi sia esercizio di detto diritto, si impegna ad acquistare il titolo di cui avrà già incassato il premio.
Richiamandosi ad una costante giurisprudenza di legittimità (si vedano ad esempio Cass. Civ. Sez. I, n.24376/2008; Cass. Civ. Sez. II n. 642/2000; Cass. Civ. Sez. I n. 8927/1994) il Tribunale di Milano ha indicato due criteri specifici per la qualificazione del patto leonino: si applica l’art. 2265 c.c. esclusivamente nei casi in cui sussista l’esclusione dalle perdite o dagli utili di un socio in modo costante e assoluto e che tale esclusione non risponda ad interessi meritevoli di tutela.
L’opzione put, pertanto, non è contraria alla legge e in particolare all’art. 2265 c.c. se si inserisce in un più grande quadro complessivo tale da poterne escludere la non rispondenza ad interessi degni di protezione.
Nel merito, l’opzione prevista nel contratto tra le parti non poteva essere classificata come contraria alle norme di legge in quanto prevedeva un limite temporale, mancando quindi di costanza e assolutezza. Inoltre, la stessa si inseriva in un’operazione di integrazione societaria e industriale tra le due parti in causa finalizzata ad ampliare la quota di mercato nazionale ed internazionale di una delle due che, a causa della sua delicatezza, rendeva necessaria una tutela specifica.
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Mobbing
E’ responsabile il datore di lavoro che consapevolmente non elimina la causa del mobbing provocato dal proprio dirigente
Con la pronuncia del 15 maggio 2015 n. 10037 la Corte di Cassazione Civile, sezione lavoro, è intervenuta nuovamente in materia di mobbing. La Suprema Corte ha ritenuto di dover rigettare i ricorsi presentati dal Comune di Colonnella e da un dirigente dello stesso a seguito della pronuncia della Corte d’Appello dell’Aquila che li vedeva soccombere nel secondo grado di giudizio promosso nei loro confronti da un loro subordinato.
La Corte, uniformandosi a quanto sentenziato dalla Corte di merito, afferma la responsabilità del datore di lavoro, gravato dagli obblighi ex art. 2049 c.c., che sia rimasto “colpevolmente inerte alla rimozione del fatto lesivo” argomentando che “il Comune non poteva essere scriminato dal danno arrecato alla lavoratrice”, anche qualora la condotta di mobbing non provenga direttamente dall’ente, ma da altro dipendente gerarchicamente superiore alla vittima.
Nel caso di specie, la Corte, dopo aver rilevato la correttezza e coerenza della motivazione della Corte di merito, ha ribadito che “la durata e le modalità con cui è stata posta in essere la condotta mobbizzante, quale risulta anche dalle prove testimoniali, sono tali da far ritenere che la sua conoscenza anche da parte del datore di lavoro, nonché organo politico, che l’ha comunque tollerata”, così da tacitare ogni motivo sollevato dal Comune di Colonnella.
- Pubblicato il Diritto del lavoro
Fallimento e contratto preliminare
La Cassazione torna sullo scioglimento del contratto preliminare
Con sentenza Cass. S.U. 18131/15, la Corte di Cassazione a Sezione Unite ha riaffermato l’orientamento già espresso nel 2004 (Cass. 12505/04) e messo in dubbio da alcune sentenze successive (Cass. 20451/05, 28479/05, 46/06, 542/06, 33/08, 17405/09, 9076/2014). La Suprema Corte ha chiarito che il promissario acquirente che abbia trascritto un’azione tendente ad ottenere l’esecuzione di un contratto preliminare di compravendita ex art. 2932 cod. civ. prima della sentenza dichiarativa di fallimento, può oppore alla curatela la sentenza che trasferisce la proprietà dell’immobile senza che il Curatore possa efficacemente sciogliersi dall’impegno contrattuale ex art. 72 L.F..
- Pubblicato il Accordi, Ristrutturazioni e procedure concorsuali
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