Antitrust e riciclo
La Commissione sanziona il cartello delle società di riciclaggio di batterie
L’Antitrust UE ha irrogato sanzioni per 68 milioni di euro alle società Campine, Eco-Bat Technologies e Recylex, che si sono accordate per abbassare il prezzo d’acquisto delle batterie auto esauste da riciclare in Germania, Belgio, Francia e Olanda, in violazione delle norme europee antitrust e a danno dei venditori.
Il Cartello, cui ha preso parte anche l’americana Johnson Controls (non sanzionata perchè rivelatrice dell’accordo collusivo) ha funzionato dal 2009 al 2012.
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Antitrust e PCT
L’AGCM accetta gli impegni di Net Service
Nella riunione dello scorso 18 gennaio, l’AGCM ha reso obbligatori i tre impegni presentati dalla società Net Service spa nel procedimento per le presunte condotte anticoncorrenziali, di abuso di posizione dominante e violazione degli obblighi di separazione societaria, avviato dall’Antitrust.
Gli impegni, che hanno incontrato il generale favore dei partecipanti al market test, sono stati infatti ritenuti idonei a risolvere le criticità connesse al vantaggio informativo a favore della Net Service dovuto alla posizione dominante detenuta nel mercato a monte dei sistemi informatici di base per lo sviluppo e il funzionamento del PCT (dove la stessa opera in esclusiva in forza degli affidamenti ottenuti, rinnovati nel tempo e ancora in essere).
Con l’impegno n. 1, la Società si impegna a realizzare una riorganizzazione aziendale che comporti una forma di separazione verticale di tipo funzionale e fisica; con l’impegno n. 2, la Società si impegna a creare un blog del PCT in cui cui tutti i soggetti attivi nel processo civile telematico possano interloquire tra loro e ciascuno con la Net Service PA (area aziendale nata in virtù dell’impegno n. 1) e, con l’impegno n. 3, la Società si impegna infine a predisporre documentazione di reportistica in ordine alle attività svolte dal blog che evidenzi le eventuali criticità segnalate dal mercato in un’ottica di trasparenza.
Si è così conclusa l’istruttoria avviata a maggio 2016.
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Antitrust e diritti TV
L’AGCM boccia le Linee Guida della Lega Calcio
E’ del 25 gennaio scorso la decisione con cui l’Antitrust ha rigettato le Linee Guida per la vendita centralizzata dei diritti audiovisivi relativi alle partite del campionato di calcio di Serie A per le stagioni 2018-2021. Nella loro genericità -ha motivato l’Antitrust-, non garantiscono ai partecipanti alle procedure competitive condizioni di assoluta equità, trasparenza e non discriminazione, necessarie per non compromettere la concorrenza nei mercati televisivi e radiofonici, per i quali i diritti audiovisivi della massima serie calcistica italiana si configurano come un elemento primario, se non essenziale.
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Antitrust e ossigenoterapia
Sanzionate dall’AGCM le principali aziende di ossigeno-ventiloterapia
Con l’irrogazione di sanzioni per circa 47 milioni di euro, si è concluso pochi giorni fa il procedimento nei confronti dei principali fornitori dei servizi di ossigenoterapia e ventiloterapia domiciliare, avviato nell’ottobre 2015 dall’AGCM per presunte violazioni dell’art. 2 l. 287/90 o 101 TFUE.
L’Antitrust ha infatti accertato l’esistenza di tre intese restrittive della concorrenza volte a manterenere artificiosamente alto il prezzo delle forniture e a cristallizzare il mercato, garantendo un equilibrio nel posizionamento delle imprese ed evitando l’ingresso a nuovi operatori.
Le tre intese, realizzate in occasione di gare ad evidenza pubblica, sono state ritenute dall’AGCM di particolare gravità.
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Antitrust e legislazione
Il risarcimento del danno antitrust alla luce dell’attuazione della direttiva 2014/104/UE
Il 19 gennaio scorso è stato finalmente pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto legislativo di attuazione della direttiva europea 2014/104/UE in materia di risarcimento del danno per violazione del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell’Unione Europea (1).
La direttiva, entrata in vigore il 25 dicembre 2014, si è posta l’obiettivo di garantire in modo uniforme in tutti gli Stati membri la piena risarcibilità del danno antitrust potenziando l’azione privatistica.
Il private enforcement, infatti, è comunemente ritenuto uno strumento dotato di forte efficacia deterrente dell’illecito anticoncorrenziale e in grado di impedire distorsioni del mercato interno. Del resto, per assicurare un corretto funzionamento del mercato, gli illeciti devono essere perseguiti e sanzionati in modo effettivo e le autorità pubbliche, che pure dispongono di strumenti più efficaci rispetto ai privati, possono concentrarsi solamente sugli illeciti di maggior rilievo e non sono preposte a garantire il ristoro dei danni che gli stessi abbiano causato ai singoli. Di qui l’importanza dell’azione privatistica, da raccordare al public enforcement, promossa dal legislatore europeo (2).
Prima dell’entrata in vigore della direttiva, il diritto al risarcimento del danno antitrust era già riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia (3), ma, in assenza di una disciplina uniforme in materia sia a livello nazionale che a livello europeo, non ha avuto adeguata tutela (4).
Ciò è dovuto innanzitutto alla difficoltà per la vittima del danno antitrust di fornire la prova rigorosa del danno subito. Spesso, gli elementi e i documenti necessari alla dimostrazione del danno sono infatti nella sola disponibilità di coloro che hanno commesso l’illecito e delle autorità garanti che detto illecito hanno scoperto.
Dopo aver ribadito che la legittamazione attiva spetta a tutti i danneggiati, siano essi acquirenti diretti o indiretti dell’impresa autore dell’illecito antitrust, la direttiva ha quindi previsto significative facilitazioni probatorie tese a superare l’asimmetria informativa che caratterizza la posizione degli attori.
In particolare, il legislatore comunitario ha introdotto la presunzione ex lege della generica dannosità dei cartelli, ponendo in capo al giudice l’obbligo di determinare il danno in via equitativa, tutte le volte in cui la puntuale quantificazione dello stesso risultasse troppo gravosa. Il danneggiato, quindi, non deve più dimostrare che il cartello ha prodotto un danno (provato per la sola esistenza del cartello), ma solo che ha prodotto un danno nella propria sfera economica e che tale danno è di una certa entità.
Per assistere il danneggiato nel reperimento delle prove sul punto, la direttiva ha poi introdotto la nozione di “categoria di prove” (5), prevedendo che il giudice, su istanza di parte (proporzionata e adeguatamente motivata), possa ordinare al convenuto o a tezi l’esibizione degli “elementi di prova o le rilevanti categorie di prove” in loro possesso, e agevolando altresì l’accesso al fascicolo di indagine delle autorità che accertano l’illecito (Commissione compresa).
Quanto all’accesso ai fascicoli dei procedimenti delle autorità garanti della concorrenza, è bene però chiarire che alcune informazioni (come quelle rese dalla parte nell’ambito del procedimento, quelle redatte e comunicate alle parti dall’autorità garante nel corso del procedimento e le proposte transattive revocate) possono essere disponibili solo dopo la definizione del procedimento, e altre (tra cui le dichiarazioni auto-indizianti rese dalla parte nell’ambito di un programma di clemenza) continuano ad essere insuscettibili di comunicazione. Ciò per non scoraggiare l’adesione ai leniency programmes, che costituiscono indubbiamente uno strumento efficace nella lotta ai cartelli (6).
Per rendere effettiva la facilitazione probatoria in discorso, la direttiva ha introdotto un sistema di sanzioni a carico della parte o del terzo che non adempia all’ordine di esibizione, distrugga prove rilevanti, violi gli obblighi imposti dal giudice a tutela di informazioni riservate o i limiti all’uso delle prove, prevedendo altresì la possibilità per il giudice di trarre dal comportamento tenuto dalle parti nel processo conseguenze negative.
Inoltre, per quanto riguarda in particolare le azioni di risarcimento del danno per trasferimento del sovrapprezzo, la direttiva ha previsto un’ulteriore facilitazione probatoria a favore dell’acquirente indiretto (7).
Introducendo una nuova presunzione (questa volta iuris tantum), il legislatore europeo ha infatti stabilito che, se il trasferimento del prezzo è introdotto dal convenuto a fini difensivi, l’onere di provare la traslazione è in capo al convenuto/danneggiante, ma, se a lamentare il sovrapprezzo subito è l’acquirente indiretto, il trasferimento del prezzo è allora presunto (e il convenuto può dimistrare che il trasferimento non si è realizzato in tutto o in parte) (8).
In questi casi, l’ammontare del danno emergente cagionato dall’autore della violazione ad un certo livello della catena di approvigionamento non può superare il danno da sovrapprezzo subito a tale livello, mentre non è fissato alcun limite per la quantificazione del lucro cessante che può essere riconosciuto al danneggiato (9).
Quanto all’efficacia probatoria delle decisioni definitive rese dalle autorità garanti nazionali, la direttiva ha poi stabilito che le stesse siano vincolanti per il giudice ordinario chiamato a decidere sulla domanda di risarcimento, attribuendo loro valore di piena prova (se emesse dall’autorità dello stesso stato) o di evidenza comunque rilevante (se pronunciate invece da un’autorità di altro stato membro).
In ogni caso, per incentivare definizioni bonarie delle controversie, la direttiva ha infine previsto che l’autore dell’illecito anticoncorrenziale che abbia abbia trovato una soluzione transattiva con il danneggiato non possa essere citato in giudizio dai concorrenti (rimasti estranei alla transazione e che vedranno comunque diminuire la propria quota di responsabilità), pur essendo solidalmente responsabile (10).
Ciò detto, il Decreto legislativo recentemente pubblicato ripropone fedelmente il contenuto della direttiva (di cui riproduce la struttura) (11), ampliandone l’ambito applicativo.
Dando una definizione ampia di diritto della concorrenza (12), il Decreto estende infatti l’applicazione delle disposizioni della direttiva anche alle violazioni della legge antitrust italiana e delle disposizioni degli altri stati membri che perseguono gli stessi obiettivi.
Inoltre, il Decreto disciplina il diritto al risarcimento del danno antitrust anche con riferimento alle class actions (escluse invece dalla direttiva).
La portata della direttiva viene invece limitata quanto all’efficacia probatoria delle decisioni delle autorità garanti nazionali che accertano in via definitiva la violazione al diritto della concorrenza. Quelle italiane fanno piena prova in relazione alla natura della violazione, alla sua portata materiale, personale, temporale e territoriale, ma non anche -viene esplicitato- quanto al nesso di causalità e all’esistenza del danno; quelle degli altri Stati membri costituiscono una mera prova prima facie, da valutare insieme ad altre prove. Il giudice del risarcimento non è poi vincolato dalle decisioni dell’AGCM che, pur divenute definitive perchè non ritualmente impugnate, siano però irrimediabilmente viziate (13).
Il termine di prescrizione, che la direttiva ha fissato in almeno a cinque anni, è individuato in cinque anni.
Il decreto concentra infine la competenza per materia delle azioni di risarcimento presso le tre sezioni del Tribunale per le imprese di Milano, Roma e Napoli.
Le nuove disposizioni processuali, ad eccezione di quelle relative alla competenza (14), si applicheranno retroattivamente anche ai giudizi promossi dopo il 26 dicmbre 2014 e dunque prima dell’entrata in vigore delle disposizioni di recepimento.
Anche per quanto aspetto il legislatore italiano ha dunque compiuto una scelta che amplia il dettato della direttiva (che a riguardo non ha previsto alcun obbligo di retroattività), di cui sembra aver compiutamente recepito il contenuto, nel rispetto dei principi di efficacia ed equivalenza di all’art. 4.
(1) Si tratta del d.lgs n. 3/2017 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 15 del 19 gennaio 2017.
(2) Il considerando 6 della direttiva evidenzia come i due canali (quello pubblicistico, di spettanza delle autorità garanti, e quello privatistico, legato al diritto civile) debbano interagire per assicurare il massimo impulso alle regole di concorrenza.
(3) V., ad es., le Sentenze Courage e Manfredi.
(4) Si pensi che in Italia tra il 2014 e il primo semestre del 2016 le azioni private di danno sono state solo 59. Sul punto, v. Analisi di impatto della regolamentazione (a.i.r.) allegata allo schema di decreto legislativo di attuazione della Direttiva 2014/104/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 novembre 2014 relativa a determinate norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli stati membri e dell’Unione Europea, p. 2.
(5) Si tratta di elementi informativi omogenei con riferimento alla “natura, il periodo durante il quale sono stati formati, l’oggetto o il contenuto degli elementi di prova di cui è richiesta l’esibizione e che rientrano nella stessa categoria”. Come si legge nella relazione illustrativa allo schema di decreto, tale espressione, estranea alla terminologia del nostro codice di procedura civile, mira a contemperare l’interesse a tutelare il diritto alla prova dell’attore con l’esigenza di evitare un uso eccessivamente disinvolto della disclosure.
(6) V., da ultimo, il procedimento avviato dall’AGCM nei confronti delle principali agenzie di modelle e della loro associazione di categoria Assem, originato dall’adesione al programma di clemenza da parte di Img Italy Srl.
(7) Quando l’illecito anticoncorrenziale si colloca ad un certo livello della catena produttiva/distributiva è infatti difficile allocare il danno, dal momento che chi subisce a monte il sovrapprezzo tende a trasferirlo a valle.
(8) La presunzione opera però solo se l’attore ha provato: 1) che il convenuto ha violato il diritto di concorrenza, 2) che la violazione ha determinato un sovrapprezzo, 3) che l’attore/acquirente indiretto ha acquistato il bene o servizio oggetto della violazione o beni o servizi che derivano dagli stessi o li incorporano.
(9) Il danno risarcibile comprende infatti il lucro cessante, il danno emergente e gli interessi senza che siano ammessi danni punitivi, contemplati invece nell’ordinamento statunitense.
(10) La direttiva ha infatti introdotto il regime della responsabilità solidale tra condebitori, riprendono un’elaborazione giurisprudenziale nel nostro ordinamento ormai consolidata. v. Cass. Sez. Un., Sent. n. 30174/11.
(11) La struttura del decreto è pressoché identica a quella della direttiva quanto alla ripartizione in capi, con l’inserimento dell’ulteriore capo VII relativo alle modificazioni alla legge 10 ottobre 1990, n. 287/1990 e alla competenza dei tribunali delle imprese.
(12) A mente dell’art. 2 del Decreto, per “diritto della concorrenza” si intendono infatti “le disposizioni di cui agli articoli 101 o 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, le disposizioni di cui agli articoli 2, 3 e 4 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, applicate autonomamente, nonché le disposizioni di altro Stato membro che perseguono principalmente lo stesso obiettivo degli articoli 101 e 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea e le predette disposizioni di cui agli articoli 2, 3 e 4 della legge 10 ottobre 1190, n. 287 (…).”
(13) Tale soluzione è imposta da una lettura delle disposizioni europee conforme all’art. 101, 2 co. Cost., secondo cui il giudice è soggetto soltanto alla legge. In ogni caso, anche l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea sancisce il diritto dell’individuo ad un giudice indipendente.
(14) L’applicazione retroattiva violerebbe infatti l’art. 5 cpc secondo cui la giurisdizione e la competenza si determinano avendo riguardo alla legge vigente al momento della proposizione della domanda.
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Antitrust e Protocolli d’intesa
AGCOM – AGCM: accordo per la tutela dei consumatori
E’ di qualche giorno fa un Protocollo d’intesa siglato da AGCOM e Antitrust in materia di pratiche commerciali scorrette.
Il Protocollo, che integra il Protocollo quadro del 22 maggio 2013, si prefigge di realizzare un maggiore coordinamento tra le due Autorità teso a tutelare al meglio i consumatori nei mercati delle comunicazioni elettroniche.
Ciò sarà possibile -hanno spiegato AGCOM e AGCM nel comunicato stampa congiunto del 13/1/2017-attraverso il coordinamento degli interventi istituzionali, anche in fase pre-istruttoria, sui settori di comune interesse; la segnalazione dell’Antitrust all’Agcom di casi in cui emergano ipotesi di violazioni da parte degli operatori delle norme alla cui applicazione è preposta l’Agcom; la segnalazione dell’Agcom all’Antitrust di casi in cui emergano ipotesi di pratiche commerciali scorrette relative al settore delle comunicazioni elettroniche; la costituzione di un gruppo di lavoro permanente sull’attuazione per promuovere il confronto su tematiche di comune interesse in materia di tutela dei consumatori, e, infine, attraverso lo scambio reciproco di dati, documenti ed informazioni sui procedimenti avviati da ciascuna Autorità. Ciò nell’ambito delle rispettive competenze e nel rispetto dei principi di autonomia e indipendenza.
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Antitrust e Moda
L’AGCM scopre il cartello delle agenzie di modelle
Si è da poco concluso, con l’irrogazione di sanzioni per oltre 4 milioni di euro, il procedimento avviato dall’Antitrust nei confronti di note agenzie di moda e dell’assoziazione di categoria Assem.
Grazie all’insolita adesione di un’agenzia di modelle al programma di clemenza, l’AGCM ha portato alla luce l’esistenza di un cartello finalizzato ad eliminare la concorrenza delle agenzie nella reciproca definizione delle condizioni economiche da praticare ai clienti (prezzo base delle modelle, prezzo per l’ulteriore utilizzo delle loro immagini e/o per le loro prestazioni e commissione di agenzia).
Si è trattato di un’intesa, unica e complessa, segreta e continuativa, che per anni ha condizionato e compromesso l’autonomia del mercato, pregiudicando anche il commercio intracomunitario.
Intese di questo genere non sono nuove nel panorama europeo, dove sono già state oggetto di intervento da parte di altre autorità nazionali di concorrenza come l’Autoritè de la Concurrence e la Market Authority.
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Antitrust e Mutui Immobiliari
Mutui immobiliari e Euribor negativo: accolti gli impegni Unicredit
Sono stati ammessi dall’AGCM gli impegni assunti da Unicredit nell’ambito del procedimento avviato dall’antitrust per le presunte scorrettezze delle pratiche commerciali realizzate dall’Istituto con riferimento ai mutui immobiliari ipotecari a tasso variabile, stipulati, rispettivamente, prima e dopo il verficarsi di valori negativi dell’Euribor.
L’AGCM aveva contestato ad Unicredit di aver sterilizzato gli effetti derivanti dall’applicazione dei valori negativi assunti dall’Euribor nel 2015 ai contratti di mutuo immobiliare a tasso variabile, di non aver prospettato alla clientela i criteri di calcolo del tasso adottati per fronteggiare il continuo decrescere dell’Indice e, con riferimento ai mutui immobiliari stipulati successivamente al divenire negativo dell’Euribor, di aver predisposto documentazione e modulistica contrattuale carente, in cui non veniva sufficientemente chiarito che il tasso minimo applicabile sarebbe stato di fatto costituito dallo spread.
Unicredit ha proposto di rideterminare retroattivamente il tasso di interesse nominale annuo dei contratti di mutuo a decorrere dal 2/3/2015 (data della prima rilevazione negativa dell’Euribor), e di integrare tutta la documentazione contrattuale e precontrattuale rivolta ai consumatori che hanno stipulato o stipuleranno in futuro contratti che prevedono espresse clausole di tasso minimo (floor) pari allo spread.
Tali impegni sono stati ritenuti dall’AGCM idonei a sanare i possibili profili di illegittimità ai sensi degli artt. 20, 21 co. 1 lett. b) e d), 22, 24, 25 co. 1 lett. a) del Codice del Consumo di entrambe le pratiche commerciali contestate.
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Autorità Garante e clausola vessatoria
Vessatoria la clausola “anti-avvocato”
Il divieto per l’assicurato di affidare la gestione del sinistro a un patrocinatore costituisce una limitazione all’autonomia contrattuale del consumatore nel rapporto con soggetti terzi tutelata dall’art. 33, co. 2 lett. t) del Codice del Consumo, e integra un illegittimo pregiudizio all’esercizio del diritto di difesa garantito dall’art. 24 Cost.
Così l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nell’affermare la natura vessatoria della clausola contenuta nei contratti di assicurazione RC auto di una nota compagnia di assicurazione, che poneva in capo al consumatore l’obbligo di non fare ricorso all’assistenza di soggetti terzi operanti professionalmente nel campo del patrocinio (quali avvocati, procuratori legali e simili) per la gestione del danno, sia nella fase stragiudiziale che in quella eventuale di ADR, addossando a carico del cliente una penale manifestamente eccessiva.
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IRAP e presupposto impositivo
IRAP: un solo dipendente non fa organizzazione
Con la sentenza n. 9451/2016, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che “con riguardo al presupposto dell’IRAP, il requisito dell’autonoma organizzazione – previsto dall’art. 2 del d.lg. 15 settembre 1997, n. 496 -, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in nudo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive”.
Pur ribadendo i principi già enunciati nella sentenza n. 3676 del 2007 (che, con alcune pronunce coeve, rappresenta il punto di approdo dell’elaborazione giurisprudenziale di legittimità in tema di IRAP),le Sezioni Unite hanno ritenuto necessario fare alcune precisazioni relative al “fattore lavoro“.
Come noto, l’art. 2 d.lgs n. 446/97 indica, quale presupposto dell’IRAP, l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata tesa alla produzione o allo scambio di beni o servizi e, nel caso di attività professionale, l’orientamento giurisprudenziale prevalente (di cui la sentenza del 2007 sopra richiamata costituisce espressione) era nel senso di ravvisare il requisito dell’autonoma organizzazione tutte le volte in cui il professionista sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione senza essere inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse (e) impieghi beni strumentali eccedenti le quantità che, secondo il “id quod plerumque accidit”, costituiscono nell’attualità il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività anche in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui indipendentemente dall’attitudine del lavoro altrui a potenziare l’attività produttiva del contribuente
La presenza anche di un solo dipendente, anche se part time ovvero adibito a mansioni generiche, comportava pertanto l’assoggettamento automatico all’imposta.
Con questa Pronuncia, le Sezioni Unite precisano invece che l’impiego di un solo dipendente non può determinare di per sé l’applicabilità dell’imposta.
Perché il lavoro (di un collaboratore non occasionale) rilevi ai fini IRAP è infatti necessario che lo stesso concorra o si combini con la specifica attività esercitata dal contribuente in modo da fornire un “qualcosa in più” che ne potenzi in effetti le possibilità.
Ciò -osserva la Corte- non si verifica certo quando il lavoro altrui si traduce nell’espletamento di mansioni di segreteria o mansioni generiche o meramente esecutive che, come tali, recano un apporto del tutto mediato o generico.
Lo stesso limite individuato in relazione ai beni strumentali (che non devono eccedere, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività) non può dunque che valere, coerentemente, anche per il fattore lavoro, “la cui soglia minimale si arresta (allora) all’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive
Con queste argomentazioni, le Sezioni Unite hanno respinto il ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate avverso una sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania che, rigettandone l’appello, aveva riconosciuto a un avvocato il rimborso dell’IRAP versata per gli anni 2000-2004, ritenendo l’impiego di un solo lavoratore dipendente con mansioni di segretario (e di beni strumentali minimi) insufficiente a configurare l’autonoma organizzazione di cui all’art. 2 d.lgs n. 446/97.
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