Revisione del diritto internazionale privato per i matrimoni contratti all’estero
Via libera ai matrimoni contratti all’estero da cittadini italiani con persone dello stesso sesso
Il D.lgs. n. 7 del 19.01.2017 , pubblicato in Gazzetta ufficiale in data 27.01.2017 ed entrato in vigore dal 11.02.2017, introduce una radicale modifica delle nostre norme di diritto internazionale privato, attribuendo efficacia ai matrimoni contratti all’estero da cittadini italiani con persone dello stesso sesso. Tali unioni, infatti, al pari unioni civili o istituti analoghi costituiti all’estero tra cittadini italiani dello stesso sesso, producono effetti equivalenti a quelli di un unione civile regolata dalla legge italiana. Il decreto in esame, emanato dal Governo in seguito alla delega prevista dall’art 1, comma 28, lettera b) della legge n. 76 del 20.05.2016 (c.d. Legge Cirrinà), determina il coordinamento tra la nuova normativa italiana in materia di unioni civili con le norme di diritto internazionale privato, superando la situazione paradossale per cui il matrimonio contratto all’estero da persone dello stesso sesso o altro istituto analogo non produceva effetti giuridici in Italia. Nel dettaglio, il decreto in esame introduce nella legge n. 218/1995 quattro nuovi articoli, da 32 bis a 32 quinquies, dando puntuale attuazione alla delega, dettando le condizioni per costituire un’unione civile, la forma dell’unione e le modalità di scioglimento dell’unione stessa.
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Trasparenza nei servizi di pagamento
La Corte UE chiarisce gli obblighi informativi del prestatore di servizi di pagamento
Con una pronuncia del 25.01.2017 (C-375/15) la Corte UE ha interpretato gli artt. 41, paragrafo 1 e 44, paragrafo 1, della direttiva 2007/64/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 13.11.2007, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, in combinato disposto con l’art 4, punto 25 della medesima direttiva, chiarendo che le modifiche delle informazioni e delle condizioni relative a tali servizi, nonché le modifiche dei contratti quadro che disciplinano i medesimi, possono essere trasmesse dal prestatore dei servizi all’utente, anche mediante l’utilizzo di una casella di posta elettronica integrata in un sito di servizi bancari online. La Corte ha ritenuto che detto strumento può essere equiparato ad un supporto durevole, secondo la definizione prevista dalla direttiva in esame (art.4, punto 25), soltanto quando ricorrono due condizioni:
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che il sito internet permetta all’utente di memorizzare le informazioni a lui dirette e di potervi accedere e riprodurle per un periodo di congrua durata, senza possibilità di modifica unilaterale del contenuto da parte del professionista;
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che nell’ipotesi in cui l’utente, al fine di prendere conoscenza delle informazioni, sia obbligato a consultare il sito internet, la trasmissione delle informazioni deve essere accompagnata da un comportamento attivo da parte del prestatore di servizi, al fine di portare a conoscenza dell’utente la disponibilità delle informazioni sul sito.
Con tale pronuncia la Corte ha esteso la nozione di supporto durevole, ritenendo che anche la casella di posta, in presenza di particolari condizioni, possa, al pari di CD-ROM, DVD, Floppy e supporti cartacei, garantire la fruibilità delle informazioni dirette all’utente dei servizi di pagamento e la riproduzione immutata delle stesse per un periodo di tempo adeguato, esigenze poste a tutela della trasparenza delle condizioni e dei requisiti applicati ai servizi di pagamento.
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Imponibilità ai fini IVA degli enti pubblici
La Corte di Giustizia interpreta l’art. 13, paragrafo 1, secondo comma della Direttiva 2006/112/CE del Consiglio
La Corte di Giustizia con una sentenza del 19 gennaio 2017 (C-344/15) è tornata ad occuparsi dell’interpretazione dell’art 13 paragrafo 1, secondo comma, della direttiva 2006/112/CE del 28.11.2006 (relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto), che già in passato era stata oggetto di pronunce della Corte UE a causa della non semplice esegesi dell’articolo in esame, affermando che un ente di diritto pubblico che esercita attività diretta ad offrire accesso ad una strada dietro il pagamento di un pedaggio non deve essere considerato in concorrenza con gli operatori privati che riscuotono pedaggi su altre strade, sulla base di un contratto concluso con l’ente pubblico interessato.
L’art. 13, paragrafo 1, comma 2, direttiva 2006/112/CE prevede una limitazione alla regola che vieta l’assoggettamento all’iva degli enti di diritto pubblico per le attività economiche da essi compiute in quanto pubbliche autorità, prevista dal paragrafo 1, comma 1 dell’art. 13. Infatti, il secondo comma del paragrafo 1 dell’art 13 stabilisce che gli enti pubblici sono considerati soggetti passivi all’imposta sul valore aggiunto per le attività economiche svolte, nei casi in cui il mancato assoggettamento comporterebbe una distorsione della concorrenza di una certa importanza.
La Corte Ue, nel motivare la pronuncia in esame, ha ribadito alcuni principi già affermati dalla giurisprudenza della Corte stessa, stabilendo che la sola presenza sul mercato di operatori privati non dimostra la sussistenza di concorrenza effettiva o potenziale, né la distorsione di concorrenza di una certa importanza. Ai fini dell’applicazione del disposto dell’art. 13, paragrafo 1, comma 2 direttiva 2006/112/CE, la concorrenza deve essere reale e deve essere valutata tenuto conto delle circostanze economiche e delle modalità con cui gli enti pubblici esercitano le attività economica. Ne deriva che in assenza di concorrenza reale, l’ente pubblico non sarà considerato soggetto passivo d’imposta.
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Finanziamento alle PMI nei mercati esteri
Contributi ai consorzi per l’internazionalizzazione nell’anno 2017
Nati in seguito alle disposizioni del D.L. 83/2012 i Consorzi per l’internazionalizzazione hanno ad oggetto la diffusione a livello internazionale dei prodotti delle piccole e medie imprese, allo scopo di supportare la permanenza delle stesse sui mercati esteri, al fine incrementare la conoscenza e la diffusione delle produzioni italiane presso i consumatori internazionali e contrastare così il fenomeno dell’italian sounding e della contraffazione dei prodotti alimentari.
Con decreto del 23.12.2016, il Ministero dello Sviluppo Economico ha delineato i requisiti, i termini e le modalità per ottenere i contributi stanziati nella legge di Stabilità per il finanziamento di dei consorzi nell’anno 2017.
Nel dettaglio, i contributi potranno essere erogati a Consorzi costituiti in forma di società consortile o cooperative di PMI industriali, artigiane, agricole, ittiche, turistiche o di servizi agroalimentari sedenti in Italia e aventi ad oggetto la diffusione internazionale dei prodotti. I contributi sono diretti a finanziare le iniziative tassativamente indicate dall’art 4 D.M.: partecipazione a fiere e saloni internazionali; eventi collaterali alle manifestazioni fieristiche internazionali; show-room temporanei all’estero; incoming di operatori esteri; workshop e/o seminari in Italia con operatori esteri; azioni di comunicazione sul mercato estero; attività di formazione specialistica per l’internazionalizzazione, destinata esclusivamente alle imprese partecipanti al progetto e registrazione del marchio consortile. I progetti dovranno coinvolgere almeno 5 PMI provenienti almeno da tre diverse regioni italiane e appartenenti allo stesso settore. I Consorzi con sede legale in Sicilia potranno avere struttura monoregionale e dovranno coinvolgere 5 PMI con sede nella stessa regione. Le iniziative che i Consorzi intendono avviare dovranno essere strutturate sotto forma di progetto e dovranno essere realizzate dal 01.01.2017 al 31.01.2017. Il decreto stabilisce dettagliatamente le spese ammissibili e quelle escluse dal contributo. Le domande di contributo, redatte secondo il modello allegato al decreto ministeriale, dovranno essere presentate entro il 28 febbraio 2017.
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Foro competente nelle controversie nascenti da contratti transnazionali di buying agency
La Cassazione riconosce la libertà alle parti di scegliere il giudice a cui affidare la risoluzione delle controversie
Con una recente pronuncia, n. 27072/2016, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha affermato che nell’ambito di un contratto atipico di buying agency che presenta elementi di internazionalità, è valida la clausola compromissoria con la quale le parti concordano di affidare la risoluzione delle controversie nascenti dal contratto ad un giudice o ad un arbitro straniero, derogando alla giurisdizione italiana. Nel dettaglio, una società italiana aveva convenuto in giudizio una società statunitense, al fine di ottenere il risarcimento del danno subito in seguito all’ingiustificato recesso dal contratto di buying agency agreement concluso tra le parti. Il Giudice di prime cure aveva dichiarato il proprio difetto di giurisdizione, riconoscendo che la vertenza dovesse essere decisa da un giudice statunitese. La Corte territoriale, accogliendo il gravame proposto avverso la sentenza di primo grado, affermò la giurisdizione del giudice italiano, rimettendo la parti davanti al tribunale. Propose ricorso per Cassazione la società statunitense, disatteso dalla Suprema Corte, in quanto inammissibile, poiché formulato avverso una sentenza che non definiva neppure parzialmente il merito. Riassunto il Giudizio davanti al tribunale di Firenze, il giudice di primo grado dichiarava la validità della clausola compromissoria inserita nel contratto, che devolveva la risoluzione delle controversie insorte al collegio arbitrale dello stato di New York. Tale pronuncia veniva confermata dalla Corte Territoriale. Avverso tale pronuncia proponeva ricorso per Cassazione la società italiana. La Suprema Corte motiva la pronuncia in esame, soffermandosi sulla qualificazione giuridica del contratto concluso tra le parti. Il giudice di prime cure, infatti, aveva ritenuto che dal testo del contratto emergesse la comune intenzione delle parti di concludere un contratto di buying agency che non ricalcasse lo schema del tipico contratto di agenzia e, come tale, non caratterizzato dall’indisponibilità dei diritti nascenti dal disposto dell’art 1751 c.c.. Sulla base di tali premesse, i Giudici di Piazza Cavour hanno quindi riconosciuto la possibilità di derogare la giurisdizione italiana, secondo quanto stabilito dall’art 4 comma 2 della L. 218/1995.
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Autorità fiscali degli Stati Membri e Antiriciclaggio
Direttiva UE n. 2258/2016 del 06/12/2016: via libera allo scambio di informazioni per combattere il riciclaggio
La direttiva UE n. 2258/2016, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione in data 16.12.2016, modifica in modo particolare l’art 22. della direttiva 2011/16 UE, relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale, introducendo una disposizione che consente alle autorità fiscali degli stati membri di accedere ai meccanismi, alle procedure, ai documenti e alle informazioni previste dagli artt.13, 30, 31 e 40 della direttiva 2015/849 del Parlamento Europeo (relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario ai fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo che modifica il regolamento Ue n. 648/2012 e abroga la direttiva n. 2005/60 CE e la direttiva 2006/70 CE). Il recepimento della direttiva da parte degli stati membri garantirà quindi un’efficiente cooperazione amministrativa tra gli stati, portando un miglioramento nell’attuazione degli obiettivi sanciti dalla direttiva 2015/849. Gli stati membri saranno chiamati ad uniformarsi alla direttiva entro il 31.12.2017.
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Recupero del credito transfrontaliero e misure cautelari
Ordinanza europea di sequestro conservativo sui conti bancari
Con il regolamento n. 655/2014 l’Unione europea ha introdotto una misura cautelare diretta a facilitare il recupero transfrontaliero di crediti in materia civile e commerciale. Tale regolamento troverà applicazione negli stati membri a partire dal 18.01.2017. Nello specifico, il sequestro conservativo sui conti bancari introdurrà negli stati membri una misura cautelare alternativa ai provvedimenti di sequestro conservativo nazionali e consentirà ai creditori di apporre un vincolo sulle somme detenute dal debitore sui conti bancari accesi presso uno stato membro, fino alla concorrenza dell’importo dovuto. Tale rimedio potrà essere richiesto sia anteriormente che nel corso della causa instaurata in uno stato membro verso il debitore ovvero all’esito di una decisione statuente l’obbligo di pagamento del debitore, in presenza di condizioni di emissione analoghe a quanto previsto nel nostro ordinamento in tema di fumus boni iuris e periculum in mora. Dal punto di vista procedurale, la nuova misura cautelare appare improntata a garantire l’efficacia e l’efficienza del recupero dei crediti nell’ambito dell’Unione. L’ordinanza, infatti, viene adottata Inaudita altera parte, senza che il debitore venga informato della domanda di ordinanza di sequestro conservativo né tanto meno venga sentito prima dell’emissione dell’ordinanza stessa. Di notevole rilevanza è poi il potere riconosciuto all’autorità giudiziaria competente per l’emissione della misura di rivolgersi all’autorità d’informazione dello stato ove deve essere avviata l’esecuzione, designata secondo il diritto nazionale di ogni Paese membro, per ottenere informazioni necessarie ad individuare gli istituti di credito e i conti del debitore.
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Consecuzione tra procedure e creditori del socio illimitatamente responsabile
La variabile consecuzione tra procedure: il caso delle società di persone
Il principio della consecuzione tra la procedura di concordato preventivo e il fallimento non trova applicazione con riferimento ai creditori personali dei soci illimitatamente personali di una società di persone, in quanto il concordato preventivo della società ha effetto nei confronti dei soci esclusivamente per i debiti sociali.
Tale principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione, sentenza n. 7324/2016, nel decidere un ricorso presentato da un istituto di credito avverso un decreto del Tribunale di Verona che aveva respinto l’opposizione allo stato passivo di un fallimento, formulata dalla stessa banca ricorrente.
Nel merito, la ricorrente aveva chiesto l’ammissione al passivo del fallimento di una società in accomandita semplice e dei tre soci accomandatari, asserendo di essere creditrice di una diversa società, operante nel settore della distribuzione alimentare, per l’importo di € 238.802,84, quale scoperto di conto corrente. Detta apertura di credito era assistita da fideiussione solidale di due dei soci illimitatamente responsabili della società fallita, prima ammessa a concordato preventivo. Nel ricorso ex art 93 L.F. la banca aveva chiesto l’ ammissione del credito al privilegio ipotecario, in virtù dell’ipoteca giudiziale iscritta sui beni dei soci della fallita, sulla base del decreto ingiuntivo ottenuto nei confronti dei due soci accomandatari e garanti in solido. In sede di esame delle domande di ammissione, il Giudice delegato aveva revocato in via breve l’iscrizione ipotecaria, in quanto effettuata nei sei mesi precedenti all’ammissione della procedura di concordato, seguita poi dal fallimento della società e dei soci garanti. Nell’ambito del giudizio di opposizione, il Tribunale, ritenuta sussistente la continuità tra le procedure di concordato e fallimento, confermava l’ammissione del credito della banca al chirografo.
La ricorrente lamentava la violazione e la falsa applicazione dell’art 67, comma 1 n. 4 L.F. in combinato disposto con gli artt. 5, 160, 169 e 147 L.F., in quanto la consecutività sussiste soltanto qualora vi sia una pluralità di procedure, situazione che, a dire della banca ricorrente, non sussisteva nel caso di specie. I beni dei soci accomandatari sui quali è stata iscritta l’ipoteca giudiziale, assoggettata a revocatoria per il fallimento “consecutivo”, sono stati assoggettati soltanto al fallimento, mentre l’ammissione al concordato è stata disposta esclusivamente nei confronti della società.
Il Collegio, nel motivare la sentenza, ha evidenziato che la giurisprudenza di legittimità è ferma nel considerare che la consecuzione delle procedure, ossia la considerazione unitaria della procedura di concordato a cui segua quella di fallimento, determina, con riguardo alla revocatoria fallimentare, la retrodatazione al momento dell’ammissione al concordato del termine del periodo sospetto, in quanto la successiva dichiarazione di fallimento è conseguenza del medesimo stato d’insolvenza.
Sulla base di questa premessa, i Giudici di Piazza Cavour hanno evidenziato che il principio della consecuzione delle procedure non può trovare applicazione con riferimento ai creditori personali dei soci di una società di persone, in quanto l’efficacia del concordato nei confronti dei soci è limitata ai debiti sociali e non a quelli personali. La richiesta di concordato formulata dai soci illimitatamente responsabili, contestualmente al concordato della società, è inammissibile, in quanto i soci non rivestono la qualifica di imprenditori. Ne consegue che l’efficacia del concordato della società nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, ex art 184 comma 2 L.F., non coinvolge i crediti personali dei soci, che, pertanto, non possono essere sottoposti alla falcida concordataria.
In applicazione di detti principi, la Corte ha accolto il ricorso della banca ricorrente, sottolineando che la mancata applicazione del principio di consecuzione delle procedure per i debiti personali dei soci accomandatari, implica che il termine per l’esercizio delle azioni revocatorie venga calcolato dalla data di dichiarazione del fallimento dei soci accomandatari, ai sensi dell’art 147 L.F., anziché dalla data di ammissione della società di persone al concordato.
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Revocatoria
Cessione d’azienda e revocatoria fallimentare dei pagamenti ricevuti dall’imprenditore alienante prima della cessione.
Con l’ordinanza interlocutoria 8090/2016 la prima sezione civile della Corte di Cassazione ha richiesto alle Sezioni Unite di pronunciarsi sulla questione relativa alla responsabilità dei debiti derivanti dall’esercizio di un’azione revocatoria fallimentare avente ad oggetto pagamenti ricevuti da un imprenditore prima di cedere l’azienda.
Il Collegio, nell’esaminare il ricorso presentato avverso una pronuncia della Corte d’appello di Bologna, ha rilevato che è controverso se l’atto di conferimento di un’azienda in un’altra società determina il trasferimento alla società conferitaria anche dei debiti futuri nascenti dall’accoglimento dell’azione revocatoria, i cui presupposti tuttavia sussistano antecedentemente all’operazione di cessione.
Nel merito, la società ricorrente lamentava che la Corte territoriale avesse erroneamente riconosciuto l’inefficacia, ai sensi dell’art 67 comma 2 L.F., dei pagamenti effettuati da un’impresa poi sottoposta alla procedura di amministrazione straordinaria, in favore di una società in seguito incorporata per fusione nella società ricorrente.
Secondo una tesi, la società cessionaria non risponde dei debiti derivanti dall’accoglimento della revocatoria fallimentare, in quanto, avendo tale azione natura costitutiva, i debiti dalla stessa derivanti sono sopravvenuti alla cessione dell’azienda e, come tali, non rientrano tra i debiti di cui è chiamato a rispondere il cessionario, ai sensi dell’art 2560 comma 1 c.c.
La Suprema Corte, nella motivazione della pronuncia in esame, ha rilevato che è controverso se l’art 2560 c.c. comprenda anche il trasferimento delle passività aziendali sopravvenute in capo all’acquirente dell’azienda o se delle stesse debba rispondere il cedente quale obbligato principale.
In merito, parte della dottrina e della giurisprudenza ritiene che le passività aziendali si trasferiscano con l’azienda in capo all’acquirente, in quanto l’azienda è considerata universitas iuris, inclusiva dei rapporti passivi e attivi ad essa pertinenti (Cass. 1758/2012; Cass. 4482/2010). Di diverso avviso è un contrapposto e minoritario orientamento giurisprudenziale, secondo cui la previsione dell’art 2560 c.c. non determina un trasferimento della posizione debitoria sostanziale, in quanto il debitore effettivo rimane colui al quale è imputabile il fatto costitutivo del debito (Cass. 20153/2011).
Soltanto in ambito bancario, la giurisprudenza di legittimità è giunta a ritenere ammissibile il fenomeno traslativo delle passività aziendali sopravvenute, in applicazione di quanto previsto dall’art 58 D.Lgs. n. 385/1993 (Testo unico bancario) (Cass.n. 22199/2010).
Alla luce di quanto sopra, la Suprema Corte ha rimesso alle sezioni unite la risposta circa la possibilità di riconoscere un effetto traslativo, analogo a quello previsto ex lege per la cessione in ambito bancario, anche alle altre ipotesi di cessione di aziende commerciali, nelle quali l’atto di cessione non disciplini espressamente tale profilo, ma preveda, come nel caso esaminato dalla Corte, che la società conferitaria subentri in tutte le posizioni attive e passive risultanti dalle scritture contabili regolarmente tenute, in virtù dell’accollo cumulativo previsto dall’art 2560 c.c.
- Pubblicato il Accordi, Ristrutturazioni e procedure concorsuali
Inps ed esdebitazione
Crediti contributivi ed esdebitazione
Cass. Civ., Sez. I, 11 Marzo 2016 n. 4844
Con una recente pronuncia (Cass. n. 4844/2016), la Corte di Cassazione ha precisato che la procedura di esdebitazione, disciplinata dall’art 142 L.F., trova applicazione anche con riferimento ai crediti contributivi non soddisfatti dalla procedura concorsuale, in quanto collegati all’esercizio dell’attività d’impresa.
L’istituto nazionale di previdenza (INPS) censurava la pronuncia della Corte d’appello di Firenze, in quanto la stessa aveva riconosciuto l’applicazione della procedura di esdebitazione per i crediti contributivi non soddisfatti nell’ambito del fallimento di una società in nome collettivo.
A dire della ricorrente, i debiti concorsuali non integralmente soddisfatti nell’ambito del fallimento sono esigibili nei confronti del socio fallito illimitatamente responsabile, secondo quanto previsto dall’art 120 comma 3 L.F., in quanto il rapporto previdenziale è estraneo all’esercizio dell’attività d’impresa.
Si difendeva con controricorso l’imprenditore fallito, il quale eccepiva l’inammissibilità del ricorso, poiché presentato tardivamente.
La Suprema Corte, rigettata l’eccezione d’inammissibilità formulata dal controricorrente, ha precisato che l’interpretazione fornita dall’INPS è del tutto priva di fondamento, poiché l’art 120 comma 3 L.F, nel stabilire che con la chiusura del fallimento i creditori acquistano nuovamente il diritto ad esercitare azioni nei confronti del debitore per la parte dei crediti non soddisfatta dalla ripartizione dell’attivo fallimentare, fa salvi espressamente gli artt. 142 e ss. L.F.
Come noto, il penultimo comma di detta disposizione nel prevedere l’esclusione dell’esdebitazione per alcune tipologie di debiti, non contempla tra queste ipotesi i debiti previdenziali. Il Collegio, richiamando il dato letterale della norma in esame, ha quindi affermato che anche i debiti contributivi sono soggetti alla procedura di esdebitazione.
Per i Giudici di Piazza Cavour è, altresì, sbagliato sostenere che il debito verso gli enti previdenziali sia estraneo all’esercizio dell’attività d’impresa, in quanto discende dalla legge. La Corte, infatti, afferma che l’art 142, comma 3, lettera a) L.F., così come modificato dal D.L.vo 169/2007, circoscrive l’area di non applicabilità dell’esdebitazione ai soli debiti personali del fallito.
Ciò premesso, la Corte ha concluso che i debiti previdenziali non possono rientrare nel novero di obbligazioni “estranee” all’esercizio dell’attività d’impresa, poichè tali debiti sorgono in occasione del rapporto di lavoro. In virtù di tali argomentazioni, la Corte ha rigettato il ricorso, condannando l’INPS al pagamento delle spese processuali.
- Pubblicato il Accordi, Ristrutturazioni e procedure concorsuali
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