D.L. 59/16 e procedure

Focus novità per fallimento e concordato

Il Decreto legge 3 maggio 2016, n. 59 ha apportato alcune modifiche che interessano sia la procedura fallimentare che quella concordataria.

ART. 40 L.F. (Nomina del comitato)

Viene inserito in questo articolo un quinto comma che stabilisce che la costituzione del comitato dei creditori è da considerare simultanea all’accettazione, che può avvenire anche per via telematica, della nomina da parte dei suoi componenti. Non sarà pertanto necessaria alcuna convocazione dinanzi al curatore, né attendere che venga eletto il presidente del comitato stesso.

ART. 95 L.F. (Progetto di stato passivo e udienza di discussione)

L’inserimento della possibilità di svolgere l’udienza di verifica dei crediti concorsuali e della formazione dello stato passivo anche per via telematica permetterà, con la postilla che venga garantito il contraddittorio e rispettata la partecipazione dei creditori, di ridurre l’attesa per il riparto ai creditori. Nel precisare che sarà possibile utilizzare le strutture informatiche messe a disposizione della procedura da soggetti terzi, il legislatore sembra aver inteso che, al fine di evitare un aggravio dei costi conseguenti, possano essere autorizzati direttamente gli ordini professionali ovvero fondazioni terze alla fornitura dei programmi per il supporto informatico.

ART. 104 ter L.F. (Programma di liquidazione)

All’articolo 104 ter L.F. viene inserita quale ulteriore giusta causa di revoca del curatore il mancato rispetto, in presenza di somme disponibili per la ripartizione, della presentazione del prospetto delle somme disponibili e un prospetto di ripartizioni delle medesime ogni quattro mesi dalla data del decreto previsto dall’art. 97 o nel diverso termine stabilito dal giudice delegato. L’obiettivo del legislatore, coerente con le recenti modifiche apportate dal D.L. 83/2015 che stabiliscono un limite ai creditori di 180 giorni dalla redazione dell’inventario per la presentazione del programma di liquidazione, sembra essere proprio quello di sanzionare pesantemente quei curatori che non procedano tempestivamente alla distribuzione delle somme ai creditori concorsuali.

ART. 163 L.F. (Ammissione alla procedura e proposte concorrenti)

Anche in questo caso, il tribunale potrà stabilire che “l’adunanza sia svolta in via telematica con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione dei creditori, anche utilizzando le strutture informatiche messe a disposizione della procedura da soggetti terzi”.

ART. 175 L.F. (Discussione della proposta di concordato)

In tema di concordato preventivo il legislatore ha espressamente previsto la possibilità di svolgere in via telematica l’adunanza dei creditori, in cui i membri sono chiamati ad esprimere il proprio voto sulla proposta concordataria. Anche se in concreto non è frequente che l’adunanza dei creditori si protragga per più udienze, l’intento che pare aver mosso il legislatore sembrerebbe essere sempre il medesimo, e cioè un notevole snellimento dei tempi della procedura a vantaggio degli interessi creditizi.

ART. 155-sexies – Disposizioni di attuazione del codice di procedura civile (Ulteriori casi di applicazione delle disposizioni per la ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare)

Al fine di dotare il curatore fallimentare, il commissario e il liquidatore giudiziale di poteri di indagine più ampi e di una maggiore autonomia il legislatore ha legittimato gli organi delle procedure concorsuali ad avvalersi direttamente e personalmente delle informazioni patrimoniali contenute nelle banche dati riguardanti i soggetti verso cui la procedura dimostri di vantare un credito, previa necessaria autorizzazione del giudice delegato, ma anche in assenza di un titolo esecutivo.

IVA e momento impositivo

IVA e compensi professionali percepiti dopo la cassazione dell’attività

Cass. S.U. 8059/16

Con la Sentenza n. 8059/2016, le Sezioni Unite, chiamate ad esprimersi sull’assoggettabilità o meno ad IVA dei compensi percepiti dal professionista dopo la cessazione della propria attività ma relativi a prestazioni eseguite nell’ambito della stessa, hanno recentemente affermato che “il compenso di prestazione professionale è imponibile a fini IVA, anche se percepito successivamente alla cessazione dell’attività, nel cui ambito la prestazione è stata effettuata, ed alla relativa formalizzazione”.

Alla base di tale principio la distinzione concettuale tra “fatto generatore” ed “esigibilità” dell’imposta e l’obbligo di un’interpretazione dell’art. 6, co. 3 d.p.r. 633/1972 conforme alle indicazioni emergenti dalla disciplina comunitaria.

Il fatto

L’Agenzia delle Entrate impugnava una sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, che aveva ritenuto illegittimo il recupero IVA operato dall’Agenzia su un compenso professionale percepito dal contribuente nel 2002 per una prestazione effettuata prima della cessazione della propria attività di architetto, intervenuta nel 1997, rilevando la carenza della qualifica di professionista al momento della riscossione.

In particolare, l’Agenzia lamentava che tale sentenza non avesse considerato che una prestazione di servizi, imponibile ai fini IVA al momento della sua esecuzione, resta certamente tale anche se il relativo corrispettivo venga conseguito dopo la cessazione dell’attività professionale nell’ambito della quale la prestazione è stata effettuata.

La causa veniva rimessa alle Sezioni Unite.

La decisione

Le Sezioni Unite evidenziano innanzitutto come gli Stati membri possano derogare alla disciplina comunitaria con riguardo alle condizioni di esigibilità dell’IVAma non anche in merito all’identificazione del fatto generatore dell’imposta, che, secondo l’ordinamento comunitario, è una nozione concettualmente autonoma e distinta da quella dell’esigibilità dell’imposta, ed è ancorato alla cessione del bene o prestazione del servizio e non al pagamento del relativo corrispettivo.

Ne deriva che l’art. 6 co. 3 d.p.r. 633/1972 non può che essere letto, in doverosa aderenza alla disciplina europea, nel senso di ritenere, quale presupposto impositivo, non il pagamento del compenso -che, per esigenze di semplificazione funzionali alla riscossione, costituisce mera condizione di esigibilità (e termine ultimo per l’adempimento dell’obbligo di fatturazione)-, ma il materiale espletamento dell’operazione.

Al verificarsi del fatto generatore dell’imposta (e suo presupposto oggettivo) ricorre dunque necessariamente anche il relativo presupposto soggettivo.

Del resto -osserva la Suprema Corte-, tale soluzione è imposta anche dalla necessità di garantire il pieno rispetto del principio di neutralità fiscale dell’IVA -atteso che solo con l’assoggettabilità ad IVA dei compensi di cui si discute si risponde all’esigenza di impedire la sottrazione al prelievo sul consumo del valore aggiunto relativo ad operazione di prestazione di servizi, che, inquadrata in regime fiscale IVA, ha partecipato delle detrazioni d’imposta sugli acquisti “a monte”-, e trova pieno riscontro nel principio generale di effettività -secondo cui l’applicazione della disciplina IVA, dipendendo unicamente dalla sussistenza di presupposti di fatto, non può essere in alcun modo condizionata da fattori meramente formali, quali la dichiarazione di cessazione dell’attività ex art. 35 d.p.r. 633/72 (definita di carattere “anagrafico”) e la dismissione della partita IVA (di natura puramente strumentale).

La cartella di pagamento: nullità per carenza di motivazione e sanatoria per raggiungimento dello scopo

Cass. Civ. 3707/16

Il fatto. G.E. proponeva opposizione agli atti esecutivi avverso una cartella di pagamento di Equitalia che, quale causale del credito, indicava genericamente un atto giudiziario senza riportarne gli estremi (nella fattispecie, una sentenza penale di condanna e un provvedimento di liquidazione del compenso al custode nominato nell’ambito dello stesso procedimento penale).

Il Tribunale, ritenendo che la cartella avrebbe dovuto riportare gli estremi dei provvedimenti giudiziari posti a fondamento della pretesa impositiva, al fine di consentire al debitore di identificare esattamente le ragioni della pretesa creditoria azionata, accoglieva l’opposizione e dichiarava la nullità della cartella esattoriale per carenza di motivazione.

Avverso la Sentenza del Tribunale proponeva ricorso per cassazione Equitalia, la quale evidenziava che, nel caso di specie, la nullità, quand’anche esistente, sarebbe stata in ogni caso sanata per raggiungimento dello scopo, atteso che l’opponente, con l’impugnazione, aveva dimostrato di conoscere i presupposti impositivi, senza peraltro allegare né provare alcun pregiudizio concreto derivato al suo diritto di difesa in ragione del vizio di motivazione.

La decisione della Corte di Cassazione

Con la sentenza n. 3707/2016, la Suprema Corte ha accolto il ricorso di Equitalia.

Confermando un consolidato orientamento giurisprudenziale, inaugurato con la sentenza n. 11722/10 delle Sezioni Unite, la Corte di legittimità ha infatti ribadito che il difetto di motivazione di una cartella esattoriale non può portare a una dichiarazione di nullità, qualora la cartella sia stata impugnata dal contribuente che, in tal modo, abbia dato prova di conoscere i presupposti dell’imposizione (per averli puntualmente contestati) e non abbia allegato nè specificatamente provato il concreto pregiudizio che l’incompletezza delle informazioni ivi riportate abbia comportato al suo diritto di difesa.

Anche a prescindere dall’effettiva notifica dei provvedimenti posti a fondamento della pretesa impositiva al destinatario -ha chiarito la Corte-, “ciò che rileva, ai fini della sanatoria per raggiungimento dello scopo, è se, comunque, la cartella di pagamento conten(ga) gli elementi minimi per consentire a quest’ultimo di individuare la pretesa impositiva, e di difendersi nel merito”.

Con questa Pronuncia, la Corte di Cassazione ha poi avuto modo di ricordare quali siano i rimedi esperibili avverso la cartella di pagamento avente ad oggetto pretese di natura diversa da quella tributaria, e chi sia legittimato passivo nel giudizio relativo ai vizi della cartella.

Quanto ai mezzi di impugnazione, la Corte ha ribadito che, oltre all’eventuale rimedio c.d. recuperatorio (attinente al merito della pretesa), avverso la cartella esattoriale è esperibile l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., se si contesta la legittimità dell’iscrizione a ruolo per difetto di un titolo legittimante o per il sopravvenire di fatti estintivi dell’obbligo, ovvero l’opposizione agli atti esecutivi di cui all’art. 617 c.p.c., se si deducono invece vizi formali della cartella o degli atti presupposti.

Quanto alla legittimazione passiva nel giudizio di opposizione, la Corte ha infine ricordato che l’impugnazione di una cartella proveniente dall’Agente della riscossione per motivi che attengono a vizi della cartella (vizi di motivazione compresi) deve essere rivolta nei confronti dello stesso e non nei confronti dell’ente impositore (al quale potrà essere eventualmente esteso il giudizio).

Revocatoria

Cessione d’azienda e revocatoria fallimentare dei pagamenti ricevuti dall’imprenditore alienante prima della cessione.

Con l’ordinanza interlocutoria 8090/2016 la prima sezione civile della Corte di Cassazione ha richiesto alle Sezioni Unite di pronunciarsi sulla questione relativa alla responsabilità dei debiti derivanti dall’esercizio di un’azione revocatoria fallimentare avente ad oggetto pagamenti ricevuti da un imprenditore prima di cedere l’azienda.
Il Collegio, nell’esaminare il ricorso presentato avverso una pronuncia della Corte d’appello di Bologna, ha rilevato che è controverso se l’atto di conferimento di un’azienda in un’altra società determina il trasferimento alla società conferitaria anche dei debiti futuri nascenti dall’accoglimento dell’azione revocatoria, i cui presupposti tuttavia sussistano antecedentemente all’operazione di cessione.
Nel merito, la società ricorrente lamentava che la Corte territoriale avesse erroneamente riconosciuto l’inefficacia, ai sensi dell’art 67 comma 2 L.F., dei pagamenti effettuati da un’impresa poi sottoposta alla procedura di amministrazione straordinaria, in favore di una società in seguito incorporata per fusione nella società ricorrente.
Secondo una tesi, la società cessionaria non risponde dei debiti derivanti dall’accoglimento della revocatoria fallimentare, in quanto, avendo tale azione natura costitutiva, i debiti dalla stessa derivanti sono sopravvenuti alla cessione dell’azienda e, come tali, non rientrano tra i debiti di cui è chiamato a rispondere il cessionario, ai sensi dell’art 2560 comma 1 c.c.
La Suprema Corte, nella motivazione della pronuncia in esame, ha rilevato che è controverso se l’art 2560 c.c. comprenda anche il trasferimento delle passività aziendali sopravvenute in capo all’acquirente dell’azienda o se delle stesse debba rispondere il cedente quale obbligato principale.
In merito, parte della dottrina e della giurisprudenza ritiene che le passività aziendali si trasferiscano con l’azienda in capo all’acquirente, in quanto l’azienda è considerata universitas iuris, inclusiva dei rapporti passivi e attivi ad essa pertinenti (Cass. 1758/2012; Cass. 4482/2010). Di diverso avviso è un contrapposto e minoritario orientamento giurisprudenziale, secondo cui la previsione dell’art 2560 c.c. non determina un trasferimento della posizione debitoria sostanziale, in quanto il debitore effettivo rimane colui al quale è imputabile il fatto costitutivo del debito (Cass. 20153/2011).
Soltanto in ambito bancario, la giurisprudenza di legittimità è giunta a ritenere ammissibile il fenomeno traslativo delle passività aziendali sopravvenute, in applicazione di quanto previsto dall’art 58 D.Lgs. n. 385/1993 (Testo unico bancario) (Cass.n. 22199/2010).
Alla luce di quanto sopra, la Suprema Corte ha rimesso alle sezioni unite la risposta circa la possibilità di riconoscere un effetto traslativo, analogo a quello previsto ex lege per la cessione in ambito bancario, anche alle altre ipotesi di cessione di aziende commerciali, nelle quali l’atto di cessione non disciplini espressamente tale profilo, ma preveda, come nel caso esaminato dalla Corte, che la società conferitaria subentri in tutte le posizioni attive e passive risultanti dalle scritture contabili regolarmente tenute, in virtù dell’accollo cumulativo previsto dall’art 2560 c.c.

TORNA SU