Risanamento del debito bancario: l’art 182 septies e il superamento del diniego dell’istituto dissenziente

L’art. 182 septies L.F., come novellato dalla L. 132/2015, permette alle imprese che versino in uno stato di decozione di imporre, a certe condizioni, ad un numero di creditori rappresentativi di una quota inferiore al 25% del debito bancario il contenuto di accordi volti alla ristrutturazione aziendale.

Tale operazione è possibile nel solo caso in cui il debito verso banche o intermediari finanziari non sia inferiore al 50% dell’indebitamento complessivo dell’impresa.

Nel caso in cui le banche e gli intermediari finanziari aderenti all’accordo rappresentino almeno il 75% dei crediti complessivi, il debitore può richiedere, contemporaneamente all’istanza di omologazione, che l’accordo sia esteso anche ai creditori non aderenti allo stesso, con il limite che le banche e gli intermediari finanziari cui viene imposto l’accordo abbiano interessi economici e posizioni giuridiche omogenee agli aderenti.

Il Legislatore ha dimostrato un’attenzione particolare per la fase delle trattative che precedono l’accordo ex art. 182 septies L.F., tanto da subordinarlo al corretto svolgimento delle stesse.

È infatti espressamente stabilito espressamente che l’accordo può essere esteso anche ai creditori non aderenti nel caso in cui sia garantita la buona fede nelle trattative e che tutti i creditori appartenenti alle categorie siano stati messi in condizione di parteciparvi.

L’impegno nell’assicurare trasparenza e correttezza, si spinge fino alla necessaria assegnazione in capo al debitore del compito di provvedere agli adempimenti pubblicitari connessi, che deve notificare alle banche e agli intermediari finanziari, per i quali i 30 giorni per proporre opposizione decorrono dalla data di ricezione della notifica.

In ultima battuta, rimane ferma la supervisione del Tribunale, che può avvalersi di una CTU, ove ritenga il parere di un esperto necessario ad accertare che tutte le prescrizioni siano rispettate e che i creditori non aderenti cui l’accordo sia stato imposto siano soddisfatti in misura almeno equivalente alle alternative verosimilmente praticabili.

Concordato e sopravvenienze attive

Risanamento o liquidazione: modificato il trattamento fiscale delle sopravvenienze legate ad una ristrutturazione procedimentalizzata

Il Decreto legislativo 147/15, recentemente varato dal governo, contiene importanti novità per quanto concerne la disciplina fiscale delle sopravvenienze attive generate da procedure di concordato o ristrutturazione. Come noto, la materia è stata oggetto di importanti rivisitazioni negli ultimi anni nel tentativo di conciliare le esigenze della ristrutturazione con il trattamento tributario delle perdite sui crediti.

Infatti, prima dell’entrata in vigore del D.L. 22 giugno 2012, n.83 nel TUIR vi era unicamente una previsione relativa alla non imponibilità delle sopravvenienze derivanti dal concordato preventivo o fallimentare, mentre non era prevista alcuna disposizione con riguardo alla riduzione dei debiti conseguenti all’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti. A fronte di tale lacuna, vi era il tentativo della dottrina e degli operatori, prevedibilmente contrastato dall’Agenzia delle entrate (v. Nt. 6 marzo 2006 prot. 954/35315/2006 AE),  di estendere in via interpretativa all’accordo di ristrutturazione la medesima disciplina prevista per il concordato.

Il vuoto normativo è stato colmato dall’art. 33 comma 4 D.L. 83/2012, il quale ha previsto che, anche per gli accordi di ristrutturazione dei debiti omologati o i piani attestati pubblicati sul registro delle imprese, la riduzione dei debiti dell’impresa non costituisse sopravvenienza attiva ma, a differenza di quanto previsto per il concordato, solo per la parte che eccedeva le perdite, pregresse e di periodo.

L’art. 13 D.Lgs. 147/15 ridefinisce i rapporti tra diverse modalità di ristrutturazione del debito di impresa. Esso estende gli effetti fiscali delle procedure concorsuali anche al caso in cui le sopravvenienze siano relative a procedure analoghe a quelle previste dal nostro ordinamento ma approvate in giurisdizioni diverse dall’Italia e con le quali esiste un adeguato scambio di informazioni. In modo significativo, inoltre, viene introdotto un trattamento fiscale differente delle sopravvenienze, non più correlato al distinguo accordo/concordato, bensì correlato al binomio liquidazione/risanamento.

Infatti, laddove il concordato sia lo strumento con il quale si intende preservare la continuità di impresa, analogamente all’accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’articolo 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, ovvero al piano attestato ai sensi dell’articolo 67, terzo comma, lettera d), del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, pubblicato nel registro delle imprese, “la riduzione dei debiti dell’impresa non costituisce sopravvenienza attiva per la parte che eccede le perdite, pregresse e di periodo, di cui all’articolo 84, senza considerare il limite dell’ottanta per cento, e gli interessi passivi e gli oneri finanziari assimilati di cui al comma 4 dell’articolo 96”. Solo in caso di concordato liquidatorio o fallimentare le sopravvenienze saranno integralmente e senza limiti detassabili.

Il decreto inoltre interviene sulla tassabilità delle rinunce ai crediti effettuate dai soci, anch’esse spesso correlate ad una ristrutturazione societaria. Dette sopravvenienze infatti saranno detassabili solo nei limiti del valore fiscale del credito che dovrà essere autocertificato dal socio.

Mobbing

E’ responsabile il datore di lavoro che consapevolmente non elimina la causa del mobbing provocato dal proprio dirigente

Con la pronuncia del 15 maggio 2015 n. 10037 la Corte di Cassazione Civile, sezione lavoro, è intervenuta nuovamente in materia di mobbing. La Suprema Corte ha ritenuto di dover rigettare i ricorsi presentati dal Comune di Colonnella e da un dirigente dello stesso a seguito della pronuncia della Corte d’Appello dell’Aquila che li vedeva soccombere nel secondo grado di giudizio promosso nei loro confronti da un loro subordinato.

La Corte, uniformandosi a quanto sentenziato dalla Corte di merito, afferma la responsabilità del datore di lavoro, gravato dagli obblighi ex art. 2049 c.c., che sia rimasto “colpevolmente inerte alla rimozione del fatto lesivo” argomentando che “il Comune non poteva essere scriminato dal danno arrecato alla lavoratrice”, anche qualora la condotta di mobbing non provenga direttamente dall’ente, ma da altro dipendente gerarchicamente superiore alla vittima.

Nel caso di specie, la Corte, dopo aver rilevato la correttezza e coerenza della motivazione della Corte di merito, ha ribadito che “la durata e le modalità con cui è stata posta in essere la condotta mobbizzante, quale risulta anche dalle prove testimoniali, sono tali da far ritenere che la sua conoscenza anche da parte del datore di lavoro, nonché organo politico, che l’ha comunque tollerata”, così da tacitare ogni motivo sollevato dal Comune di Colonnella.

 

Revocatoria per il pagamento di forniture.

Con sentenza Cass. 17.906/15, la prima sezione della Corte di Cassazione ha ribadito che, al fine di provare la conoscenza dello stato di insolvenza, il giudice si può valere di elementi indiziari e che, tra essi, figurano un ritardo sistematico nel pagamento, la rinegoziazione di piani di dilazione concordati, la richiesta di subordinare la nuova fornitura al pagamento di prestazioni precedenti. Non ha avuto successo il tentativo di affermare che il ritardo sistematico aveva reso usuale e, quindi, non rivelatore dello stato di insolvenza  il pagamento effettuato con significativo ritardo.

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