La Corte UE chiarisce gli obblighi informativi del prestatore di servizi di pagamento

Con una pronuncia del 25.01.2017 (C-375/15) la Corte UE ha interpretato gli artt. 41, paragrafo 1 e 44, paragrafo 1, della direttiva 2007/64/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 13.11.2007, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, in combinato disposto con l’art 4, punto 25 della medesima direttiva, chiarendo che le modifiche delle informazioni e delle condizioni relative a tali servizi, nonché le modifiche dei contratti quadro che disciplinano i medesimi, possono essere trasmesse dal prestatore dei servizi all’utente, anche mediante l’utilizzo di una casella di posta elettronica integrata in un sito di servizi bancari online. La Corte ha ritenuto che detto strumento può essere equiparato ad un supporto durevole, secondo la definizione prevista dalla direttiva in esame (art.4, punto 25), soltanto quando ricorrono due condizioni:

  • che il sito internet permetta all’utente di memorizzare le informazioni a lui dirette e di potervi accedere e riprodurle per un periodo di congrua durata, senza possibilità di modifica unilaterale del contenuto da parte del professionista;

  • che nell’ipotesi in cui l’utente, al fine di prendere conoscenza delle informazioni, sia obbligato a consultare il sito internet, la trasmissione delle informazioni deve essere accompagnata da un comportamento attivo da parte del prestatore di servizi, al fine di portare a conoscenza dell’utente la disponibilità delle informazioni sul sito.

Con tale pronuncia la Corte ha esteso la nozione di supporto durevole, ritenendo che anche la casella di posta, in presenza di particolari condizioni, possa, al pari di CD-ROM, DVD, Floppy e supporti cartacei, garantire la fruibilità delle informazioni dirette all’utente dei servizi di pagamento e la riproduzione immutata delle stesse per un periodo di tempo adeguato, esigenze poste a tutela della trasparenza delle condizioni e dei requisiti applicati ai servizi di pagamento.

Antitrust e PCT

L’AGCM accetta gli impegni di Net Service

Provvedimento Net Service

Nella riunione dello scorso 18 gennaio, l’AGCM ha reso obbligatori i tre impegni presentati dalla società Net Service spa nel procedimento per le presunte condotte anticoncorrenziali, di abuso di posizione dominante e violazione degli obblighi di separazione societaria, avviato dall’Antitrust.

Gli impegni, che hanno incontrato il generale favore dei partecipanti al market test, sono stati infatti ritenuti idonei a risolvere le criticità connesse al vantaggio informativo a favore della Net Service dovuto alla posizione dominante detenuta nel mercato a monte dei sistemi informatici di base per lo sviluppo e il funzionamento del PCT (dove la stessa opera in esclusiva in forza degli affidamenti ottenuti, rinnovati nel tempo e ancora in essere).

Con l’impegno n. 1, la Società si impegna a realizzare una riorganizzazione aziendale che comporti una forma di separazione verticale di tipo funzionale e fisica; con l’impegno n. 2, la Società si impegna a creare un blog del PCT in cui cui tutti i soggetti attivi nel processo civile telematico possano interloquire tra loro e ciascuno con la Net Service PA (area aziendale nata in virtù dell’impegno n. 1) e, con l’impegno n. 3, la Società si impegna infine a predisporre documentazione di reportistica in ordine alle attività svolte dal blog che evidenzi le eventuali criticità segnalate dal mercato in un’ottica di trasparenza.

Si è così conclusa l’istruttoria avviata a maggio 2016.

Antitrust e diritti TV

L’AGCM boccia le Linee Guida della Lega Calcio

E’ del 25 gennaio scorso la decisione con cui l’Antitrust ha rigettato le Linee Guida per la vendita centralizzata dei diritti audiovisivi relativi alle partite del campionato di calcio di Serie A per le stagioni 2018-2021. Nella loro genericità -ha motivato l’Antitrust-, non garantiscono ai partecipanti alle procedure competitive condizioni di assoluta equità, trasparenza e non discriminazione, necessarie per non compromettere la concorrenza nei mercati televisivi e radiofonici, per i quali i diritti audiovisivi della massima serie calcistica italiana si configurano come un elemento primario, se non essenziale.

Il trasferimento della sede all’estero non salva dal fallimento

Una strategia, che negli ultimi anni, è stata spesso usata per evitare il fallimento è quella di trasferire all’estero la sede sociale. Decorso l’anno dalla cancellazione, infatti, il giudice italiano non può più pronunciare il fallimento della società. Ciò è vero, tuttavia, solo ove la società abbia cessato effettivamente di operare.

La Cassazione, con una sentenza emessa ai primi di gennaio (Cass. Civ. 4 gennaio 2017, n. 43), ha ribadito un principio consolidato (v. anche Cass. S.U. 5945/13) per cui se il trasferimento è fittizio, il giudice italiano rimane competente a valutare l’insolvenza di una società che non è stata cancellata per liquidazione totale dell’attivo e che continui ad operare. In tali casi, infatti, il termine annuale non opera.

TORNA SU