Il concordato della società cancellata è inammissibile

Una società di persone propone una domanda di concordato preventivo successivamente alla cancellazione dal registro delle imprese. Revocato il procedimento concordatario, il tribunale dichiara la non fallibilità della società cancellata perchè è decorso più di un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese. Rilevato un possibile contrasto con il dettato costituzionale per irragionevolezza dal momento che il debitore potrebbe capziosamente depositare una domanda di concordato al solo fine di fare decorrere il termine annuale,  il Giudice remittente ha trasmesso gli atti alla Corte costituzionale.

La Corte (Corte Cost. 13 gennaio 2017, n. 9) ha affermato l’inammissibilità del ricorso per irrilevanza della questione, evidenziando come la giurisprudenza di legittimità non ritenga ammissibile un procedimento concordatario promosso da una società cancellata, dal moento che, con la cancellazione, viene meno il fine di risanamento proprio del procedimento concordatario.

Articolo 8, legge 148/2011: luci e ombre

L’esigenza di flessibilizzare il mercato e le regole del lavoro per far fronte alla profonda crisi economica che ha travolto il nostro Paese nell’estate del 2011, ha indotto il Legislatore ad introdurre nell’ordinamento italiano la contrattazione di prossimità, disciplinata dall’art. 8 l. n. 148/2011.

In particolare, infatti,  al fine di rilanciare l’economia e la competitività del nostro sistema produttivo, l’art. 8, comma 2 bis, l. n. 148/2011 consente alla contrattazione aziendale o territoriale di derogare in determinate materie alle norme di legge e dei contratti collettivi, affidando alle organizzazioni sindacali la facoltà di interloquire con le imprese al fine di raggiungere intese capaci di tutelare sia i lavoratori che le esigenze delle aziende.

La derogabilità alle disposizioni di legge è possibile purché:

  1. partecipino alla sottoscrizione soggetti collettivi qualificati;

  2. sia la maggioranza ad approvare la deroga;

  3. la deroga sia motivata da esigenze specifiche di particolare rilievo sociale;

  4. si rifletta su specifici istituti e materie

Il rispetto di tali “limiti interni” dovrebbe consentire di migliorare la qualità dei contratti di lavoro, di incrementare l’occupazione, di far emergere il lavoro irregolare, di gestire eventuali crisi aziendali e occupazionali, di incrementare competitività, salario, investimenti e avvio di nuove attività.

Fermo restando il rispetto di tali condizioni, lo stesso art. 8, comma 2 bis, impone altresì un “limite esterno”: vincola espressamente la derogabilità al rispetto della Costituzione, delle normative comunitarie e delle convenzioni internazionali in materia di lavoro.

Uno degli aspetti più innovativi e al contempo più critici introdotti dal disposto dell’art. 8, comma 2 bis, l. 148/2011, è il potere attribuito alla contrattazione di secondo livello di derogare, nell’ambito di specifiche materie, sia alla legge che ai CCNL,  consentendo, in maniera rigidamente circoscritta, addirittura derogare “in pejus”.

I risvolti pratici di tali accordi potrebbero interessare diversi profili del rapporto di lavoro tra cui: la durata del periodo di prova e dell’apprendistato prima dell’assunzione definitiva, i contratti a termine, l’introduzione di nuove ipotesi di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato, la disciplina dell’orario di lavoro e del licenziamento…

Nonostante il timore che uno strumento giuridico di tale portata potesse incidere significativamente sui delicati rapporti tra lavoratori e aziende (si pensi, tra gli altri, alla garanzia reintegratoria in caso di licenziamento illegittimo), non sembra realistico pensare che una più ampia flessibilità di contrattazione tra parti sociali consapevoli e responsabili possa intaccare tutele storicamente acquisite, essendo al contrario un’occasione di scambio tra vantaggi occupazionali e una maggior flessibilità capace di integrale il CCNL per meglio rispondere ai bisogni della/e azienda/e di una determinata area territoriale.

Ogni dubbio sulla legittimità costituzionale dell’art. 8 l. n. 148/2011 è stato fugato dalla pronuncia della Corte  Costituzionale che, con la sentenza n. 221/2012, ha stabilito che non è fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione a tale norma. Essa non contrasta, infatti, con gli artt. 39, 117, 118 Cost, (come asserito dalla Regione Toscana, promotrice della questione) poiché l’ambito delle intese previste dall’art. 8 l. n. 418/2011 non è illimitato, bensì tassativo e circoscritto all’organizzazione del lavoro e della produzione. La Corte ha chiarito che anche l’effetto derogatorio previsto dal comma 2 bis rispetta i parametri costituzionali: esso infatti, oltre ad operare nei soli ambiti previsti dal comma 2 ed avendo carattere eccezionale, non si applica al di fuori dei casi e i tempi dalla stessa considerati.

Antitrust e Moda

L’AGCM scopre il cartello delle agenzie di modelle

Si è da poco concluso, con l’irrogazione di sanzioni per oltre 4 milioni di euro, il procedimento avviato dall’Antitrust nei confronti di note agenzie di moda e dell’assoziazione di categoria Assem.

Grazie all’insolita adesione di un’agenzia di modelle al programma di clemenza, l’AGCM ha portato alla luce l’esistenza di un cartello finalizzato ad eliminare la concorrenza delle agenzie nella reciproca definizione delle condizioni economiche da praticare ai clienti (prezzo base delle modelle, prezzo per l’ulteriore utilizzo delle loro immagini e/o per le loro prestazioni e commissione di agenzia).

Si è trattato di un’intesa, unica e complessa, segreta e continuativa, che per anni ha condizionato e compromesso l’autonomia del mercato, pregiudicando anche il commercio intracomunitario.

Intese di questo genere non sono nuove nel panorama europeo, dove sono già state oggetto di intervento da parte di altre autorità nazionali di concorrenza come l’Autoritè de la Concurrence e la Market Authority.

Licenziamento e maternità

Tutela della lavoratrice madre fino al compimento del primo anno di età del figlio

Con la sentenza n. 475/2016 depositata l’11 gennaio 2017, la Cassazione ha rinnovato il divieto per il datore di lavoro di licenziare la lavoratrice madre dall’inizio della gravidanza sino al compimento di un anno di età del bambino, se non per colpa grave (da accertarsi nelle opportune sedi) della lavoratrice.

Qualora manchi tale colpa, il rapporto si considera come “mai interrotto” e, pertanto, alla lavoratrice dovrà essere corriposto lo stipendio “dal giorno del licenziamento sino alla rieffettiva ammissione in servizio”.

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