Competition Report

THE ITALIAN COMPETITION AUTHORITY (AGCM) OPENS AN INVESTIGATION FOR ABUSE OF DOMINANT POSITION IN THE MARKET OF LAW PRACTICE MANAGEMENT SOFTWARES

Case note PCT

On May 11, 2016 (AGCM Bulletin17/2016), the Italian Competition Authority opened an investigation against Net Service S.p.A. for an alleged abuse of dominant position pursuant to Article 102 TFEU.

Net Service S.p.A. is a company active in the development of softwares for complex organizations. Net Service S.p.A. won three tender procedures to provide software services for the development, operation and management of  several functions of the Italian Civil Court System as well as for the provision of additional ancillary services (help-desk, maintanance and development of the software systems of the Ministry of Justice, etc.).

The tender procedures were part of a project called “Processo civile telematico” (Electronic Civil Trial) promoted by the Ministry of Justice that aimed to provide the Civil Court System and its users (lawyers, judges, bankruptcy trustees, etc.) with an electronic interface that allowed to carry out substantial part of their legal activity such as electronically filing documents, issuing judgments, serving summons and petitions.

Net Service S.p.A. is also active in the downstream market of developing practice management softwares for professionals that interact with the Civil Court Operating System.

While the development and the management of the operating system to be used by the Civil Court System was awarded to Net Service S.p.A. by a tender procedure, the downstream market for legal softwares that interact with the Civil Court Operating System is open to the competition of other software houses.

Assogestionali, an association that is composed of several software houses that develop practice and office management softwares, reported to the Competition Authority that Net Service S.p.A. regularly delays the disclosure of the information needed to assure the update and the full interoperability of their softwares with the Civil Court Operating System. According to Assogestionali the required information is disclosed (sometimes only partially) only after the launch to the market of the updated version of the software developed by Net Service S.p.A.. This creates a delay in the development of competing softwares with the consequence that Net Service is viewed by legal professionals and bar associations as the sole provider of practice management softwares that interact with the Civil Courts Operating System.

The AGCM has found a prima facie evidence of the alleged conducts and opened an investigation for the alleged violation of Article 102 TFEU.

Avv. Marco Amorese – marco.amorese@amsl.it – Tel. +39 035 212175

IRAP e presupposto impositivo

IRAP: un solo dipendente non fa organizzazione

Cass. Civ. n. 9451/2016

Con la sentenza n. 9451/2016, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che “con riguardo al presupposto dell’IRAP, il requisito dell’autonoma organizzazione – previsto dall’art. 2 del d.lg. 15 settembre 1997, n. 496 -, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in nudo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive”.

Pur ribadendo i principi già enunciati nella sentenza n. 3676 del 2007 (che, con alcune pronunce coeve, rappresenta il punto di approdo dell’elaborazione giurisprudenziale di legittimità in tema di IRAP),le Sezioni Unite hanno ritenuto necessario fare alcune precisazioni relative al “fattore lavoro“.

Come noto, l’art. 2 d.lgs n. 446/97 indica, quale presupposto dell’IRAP, l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata tesa alla produzione o allo scambio di beni o servizi e, nel caso di attività professionale, l’orientamento giurisprudenziale prevalente (di cui la sentenza del 2007 sopra richiamata costituisce espressione) era nel senso di ravvisare il requisito dell’autonoma organizzazione tutte le volte in cui il professionista sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione senza essere inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse (e) impieghi beni strumentali eccedenti le quantità che, secondo il “id quod plerumque accidit”, costituiscono nell’attualità il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività anche in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui indipendentemente dall’attitudine del lavoro altrui a potenziare l’attività produttiva del contribuente

La presenza anche di un solo dipendente, anche se part time ovvero adibito a mansioni generiche, comportava pertanto l’assoggettamento automatico all’imposta.

Con questa Pronuncia, le Sezioni Unite precisano invece che l’impiego di un solo dipendente non può determinare di per sé l’applicabilità dell’imposta.

Perché il lavoro (di un collaboratore non occasionale) rilevi ai fini IRAP è infatti necessario che lo stesso concorra o si combini con la specifica attività esercitata dal contribuente in modo da fornire un “qualcosa in più” che ne potenzi in effetti le possibilità.

Ciò -osserva la Corte- non si verifica certo quando il lavoro altrui si traduce nell’espletamento di mansioni di segreteria o mansioni generiche o meramente esecutive che, come tali, recano un apporto del tutto mediato o generico.

Lo stesso limite individuato in relazione ai beni strumentali (che non devono eccedere, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività) non può dunque che valere, coerentemente, anche per il fattore lavoro, “la cui soglia minimale si arresta (allora) all’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive

Con queste argomentazioni, le Sezioni Unite hanno respinto il ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate avverso una sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania che, rigettandone l’appello, aveva riconosciuto a un avvocato il rimborso dell’IRAP versata per gli anni 2000-2004, ritenendo l’impiego di un solo lavoratore dipendente con mansioni di segretario (e di beni strumentali minimi) insufficiente a configurare l’autonoma organizzazione di cui all’art. 2 d.lgs n. 446/97.

La variabile consecuzione tra procedure: il caso delle società di persone

Cass. Civ. n. 7324/2016

Il principio della consecuzione tra la procedura di concordato preventivo e il fallimento non trova applicazione con riferimento ai creditori personali dei soci illimitatamente personali di una società di persone, in quanto il concordato preventivo della società ha effetto nei confronti dei soci esclusivamente per i debiti sociali.

Tale principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione, sentenza n. 7324/2016, nel decidere un ricorso presentato da un istituto di credito avverso un decreto del Tribunale di Verona che aveva respinto l’opposizione allo stato passivo di un fallimento, formulata dalla stessa banca ricorrente.

Nel merito, la ricorrente aveva chiesto l’ammissione al passivo del fallimento di una società in accomandita semplice e dei tre soci accomandatari, asserendo di essere creditrice di una diversa società, operante nel settore della distribuzione alimentare, per l’importo di € 238.802,84, quale scoperto di conto corrente. Detta apertura di credito era assistita da fideiussione solidale di due dei soci illimitatamente responsabili della società fallita, prima ammessa a concordato preventivo. Nel ricorso ex art 93 L.F. la banca aveva chiesto l’ ammissione del credito al privilegio ipotecario, in virtù dell’ipoteca giudiziale iscritta sui beni dei soci della fallita, sulla base del decreto ingiuntivo ottenuto nei confronti dei due soci accomandatari e garanti in solido. In sede di esame delle domande di ammissione, il Giudice delegato aveva revocato in via breve l’iscrizione ipotecaria, in quanto effettuata nei sei mesi precedenti all’ammissione della procedura di concordato, seguita poi dal fallimento della società e dei soci garanti. Nell’ambito del giudizio di opposizione, il Tribunale, ritenuta sussistente la continuità tra le procedure di concordato e fallimento, confermava l’ammissione del credito della banca al chirografo.

La ricorrente lamentava la violazione e la falsa applicazione dell’art 67, comma 1 n. 4 L.F. in combinato disposto con gli artt. 5, 160, 169 e 147 L.F., in quanto la consecutività sussiste soltanto qualora vi sia una pluralità di procedure, situazione che, a dire della banca ricorrente, non sussisteva nel caso di specie. I beni dei soci accomandatari sui quali è stata iscritta l’ipoteca giudiziale, assoggettata a revocatoria per il fallimento “consecutivo”, sono stati assoggettati soltanto al fallimento, mentre l’ammissione al concordato è stata disposta esclusivamente nei confronti della società.

Il Collegio, nel motivare la sentenza, ha evidenziato che la giurisprudenza di legittimità è ferma nel considerare che la consecuzione delle procedure, ossia la considerazione unitaria della procedura di concordato a cui segua quella di fallimento, determina, con riguardo alla revocatoria fallimentare, la retrodatazione al momento dell’ammissione al concordato del termine del periodo sospetto, in quanto la successiva dichiarazione di fallimento è conseguenza del medesimo stato d’insolvenza.

Sulla base di questa premessa, i Giudici di Piazza Cavour hanno evidenziato che il principio della consecuzione delle procedure non può trovare applicazione con riferimento ai creditori personali dei soci di una società di persone, in quanto l’efficacia del concordato nei confronti dei soci è limitata ai debiti sociali e non a quelli personali. La richiesta di concordato formulata dai soci illimitatamente responsabili, contestualmente al concordato della società, è inammissibile, in quanto i soci non rivestono la qualifica di imprenditori. Ne consegue che l’efficacia del concordato della società nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, ex art 184 comma 2 L.F., non coinvolge i crediti personali dei soci, che, pertanto, non possono essere sottoposti alla falcida concordataria.

In applicazione di detti principi, la Corte ha accolto il ricorso della banca ricorrente, sottolineando che la mancata applicazione del principio di consecuzione delle procedure per i debiti personali dei soci accomandatari, implica che il termine per l’esercizio delle azioni revocatorie venga calcolato dalla data di dichiarazione del fallimento dei soci accomandatari, ai sensi dell’art 147 L.F., anziché dalla data di ammissione della società di persone al concordato.

Una tardiva disclosure non salva il concordato e non è necessario il voto dei creditori.

Cass. Civ. 5 maggio 2016, n. 9027

La Corte di Cassazione torna sull’annoso tema della rilevanza della disclosure in un procedimento per concordato preventivo per ribadire che l’esistenza di atti di frode rende necessario il subprocedimento di revoca della procedura di concordato ai sensi dell’art. 173 L.F.

I Giudici di piazza Cavour richiamano un principio già affermato precedentemente per cui, nonostante la riforma dell’istituto concordatario abbia voluto introdurre una maggiore flessibilità negoziale, la sussistenza di ragioni di carattere pubblicistico rendono inevitabile la revoca del concordato in caso di condotte fraudolente anche senza che sia necessario che i creditori, informati a seguito dei rilievi del commissario, esprimano il loro voto.

La Corte ne approfitta per ribadire le caratteristiche che l’atto in frode deve avere: esso può essere costituito da un atto che abbia anche solo una mera potenzialità decettiva ma deve essere posto in essere dolosamente, cioè nella consapevolezza di rendere un quadro inveritiero ai creditori chiamati al voto. Tuttavia, la Corte, pur rigettando nel caso di specie il ricorso, non sembra chiudere alla possibilità per il debitore, che voglia accedere al concordato e che abbia presentato una proposta difettosa, di modificare la proposta concordataria in corso di procedura in modo da ovviare ai difetti informativi della originaria proposta.

Se tale orientamento effettivamente si consolidasse, potrebbe forse trovare un equilibrio anche il difficile rapporto tra procedimento di revoca per atti in frode e concordato in bianco. Durante la fase del concordato in bianco, infatti, rimane inevitabilmente dubbio se possa revocarsi un concordato per quegli atti in frode che, se fatti conoscere ai creditori con la proposta completa, potrebbero essere superati dal voto favorevole dei creditori.

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