Antitrust e riciclo
La Commissione sanziona il cartello delle società di riciclaggio di batterie
L’Antitrust UE ha irrogato sanzioni per 68 milioni di euro alle società Campine, Eco-Bat Technologies e Recylex, che si sono accordate per abbassare il prezzo d’acquisto delle batterie auto esauste da riciclare in Germania, Belgio, Francia e Olanda, in violazione delle norme europee antitrust e a danno dei venditori.
Il Cartello, cui ha preso parte anche l’americana Johnson Controls (non sanzionata perchè rivelatrice dell’accordo collusivo) ha funzionato dal 2009 al 2012.
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Foro competente nelle controversie nascenti da contratti transnazionali di buying agency
La Cassazione riconosce la libertà alle parti di scegliere il giudice a cui affidare la risoluzione delle controversie
Con una recente pronuncia, n. 27072/2016, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha affermato che nell’ambito di un contratto atipico di buying agency che presenta elementi di internazionalità, è valida la clausola compromissoria con la quale le parti concordano di affidare la risoluzione delle controversie nascenti dal contratto ad un giudice o ad un arbitro straniero, derogando alla giurisdizione italiana. Nel dettaglio, una società italiana aveva convenuto in giudizio una società statunitense, al fine di ottenere il risarcimento del danno subito in seguito all’ingiustificato recesso dal contratto di buying agency agreement concluso tra le parti. Il Giudice di prime cure aveva dichiarato il proprio difetto di giurisdizione, riconoscendo che la vertenza dovesse essere decisa da un giudice statunitese. La Corte territoriale, accogliendo il gravame proposto avverso la sentenza di primo grado, affermò la giurisdizione del giudice italiano, rimettendo la parti davanti al tribunale. Propose ricorso per Cassazione la società statunitense, disatteso dalla Suprema Corte, in quanto inammissibile, poiché formulato avverso una sentenza che non definiva neppure parzialmente il merito. Riassunto il Giudizio davanti al tribunale di Firenze, il giudice di primo grado dichiarava la validità della clausola compromissoria inserita nel contratto, che devolveva la risoluzione delle controversie insorte al collegio arbitrale dello stato di New York. Tale pronuncia veniva confermata dalla Corte Territoriale. Avverso tale pronuncia proponeva ricorso per Cassazione la società italiana. La Suprema Corte motiva la pronuncia in esame, soffermandosi sulla qualificazione giuridica del contratto concluso tra le parti. Il giudice di prime cure, infatti, aveva ritenuto che dal testo del contratto emergesse la comune intenzione delle parti di concludere un contratto di buying agency che non ricalcasse lo schema del tipico contratto di agenzia e, come tale, non caratterizzato dall’indisponibilità dei diritti nascenti dal disposto dell’art 1751 c.c.. Sulla base di tali premesse, i Giudici di Piazza Cavour hanno quindi riconosciuto la possibilità di derogare la giurisdizione italiana, secondo quanto stabilito dall’art 4 comma 2 della L. 218/1995.
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Antitrust e Mutui Immobiliari
Mutui immobiliari e Euribor negativo: accolti gli impegni Unicredit
Sono stati ammessi dall’AGCM gli impegni assunti da Unicredit nell’ambito del procedimento avviato dall’antitrust per le presunte scorrettezze delle pratiche commerciali realizzate dall’Istituto con riferimento ai mutui immobiliari ipotecari a tasso variabile, stipulati, rispettivamente, prima e dopo il verficarsi di valori negativi dell’Euribor.
L’AGCM aveva contestato ad Unicredit di aver sterilizzato gli effetti derivanti dall’applicazione dei valori negativi assunti dall’Euribor nel 2015 ai contratti di mutuo immobiliare a tasso variabile, di non aver prospettato alla clientela i criteri di calcolo del tasso adottati per fronteggiare il continuo decrescere dell’Indice e, con riferimento ai mutui immobiliari stipulati successivamente al divenire negativo dell’Euribor, di aver predisposto documentazione e modulistica contrattuale carente, in cui non veniva sufficientemente chiarito che il tasso minimo applicabile sarebbe stato di fatto costituito dallo spread.
Unicredit ha proposto di rideterminare retroattivamente il tasso di interesse nominale annuo dei contratti di mutuo a decorrere dal 2/3/2015 (data della prima rilevazione negativa dell’Euribor), e di integrare tutta la documentazione contrattuale e precontrattuale rivolta ai consumatori che hanno stipulato o stipuleranno in futuro contratti che prevedono espresse clausole di tasso minimo (floor) pari allo spread.
Tali impegni sono stati ritenuti dall’AGCM idonei a sanare i possibili profili di illegittimità ai sensi degli artt. 20, 21 co. 1 lett. b) e d), 22, 24, 25 co. 1 lett. a) del Codice del Consumo di entrambe le pratiche commerciali contestate.
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Fallimento e nota di variazione IVA
Much ado about nothing. La nota di variazione deve attendere il riparto.
Come noto, l’articolo 1, commi 126 e 127 della Legge 28 dicembre 2015, n. 208 (cd. ‘Legge di Stabilità 2016’) era intervenuto a modificare l’articolo 26 del D.P.R. n. 633/1972, che regola le variazioni in aumento o in diminuzione dell’imponibile e dell’IVA, nei casi di mancato pagamento dei corrispettivi.
La novità principale era rappresentata dalla possibilità di recuperare l’IVA impagata mediante l’emissione di una nota in variazione all’apertura della procedura, senza dovere attendere il piano di riparto del fallimento. La misura era molto attesa ma, per ragioni di equilibrio finanziario, ne era stata limitata l’applicabilità alle procedure aperte dopo il 31 dicembre 2016.
Le esigenze di cassa sono tuttavia state fatali all’entrata a regime della innovazione normativa. La legge di bilancio 2017 (L.232/2016 co.567), infatti, ha abrogato la norma prima ancora che la stessa fosse applicabile. Le imprese dovranno pertanto continuare ad attendere il mancato riparto prima di potere emettere una nota di variazione IVA.
Vedi i testi a confronto dell’Art. 26 D.P.R. 633/72
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IRAP e presupposto impositivo
IRAP: un solo dipendente non fa organizzazione
Con la sentenza n. 9451/2016, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che “con riguardo al presupposto dell’IRAP, il requisito dell’autonoma organizzazione – previsto dall’art. 2 del d.lg. 15 settembre 1997, n. 496 -, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in nudo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive”.
Pur ribadendo i principi già enunciati nella sentenza n. 3676 del 2007 (che, con alcune pronunce coeve, rappresenta il punto di approdo dell’elaborazione giurisprudenziale di legittimità in tema di IRAP),le Sezioni Unite hanno ritenuto necessario fare alcune precisazioni relative al “fattore lavoro“.
Come noto, l’art. 2 d.lgs n. 446/97 indica, quale presupposto dell’IRAP, l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata tesa alla produzione o allo scambio di beni o servizi e, nel caso di attività professionale, l’orientamento giurisprudenziale prevalente (di cui la sentenza del 2007 sopra richiamata costituisce espressione) era nel senso di ravvisare il requisito dell’autonoma organizzazione tutte le volte in cui il professionista sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione senza essere inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse (e) impieghi beni strumentali eccedenti le quantità che, secondo il “id quod plerumque accidit”, costituiscono nell’attualità il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività anche in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui indipendentemente dall’attitudine del lavoro altrui a potenziare l’attività produttiva del contribuente
La presenza anche di un solo dipendente, anche se part time ovvero adibito a mansioni generiche, comportava pertanto l’assoggettamento automatico all’imposta.
Con questa Pronuncia, le Sezioni Unite precisano invece che l’impiego di un solo dipendente non può determinare di per sé l’applicabilità dell’imposta.
Perché il lavoro (di un collaboratore non occasionale) rilevi ai fini IRAP è infatti necessario che lo stesso concorra o si combini con la specifica attività esercitata dal contribuente in modo da fornire un “qualcosa in più” che ne potenzi in effetti le possibilità.
Ciò -osserva la Corte- non si verifica certo quando il lavoro altrui si traduce nell’espletamento di mansioni di segreteria o mansioni generiche o meramente esecutive che, come tali, recano un apporto del tutto mediato o generico.
Lo stesso limite individuato in relazione ai beni strumentali (che non devono eccedere, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività) non può dunque che valere, coerentemente, anche per il fattore lavoro, “la cui soglia minimale si arresta (allora) all’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive
Con queste argomentazioni, le Sezioni Unite hanno respinto il ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate avverso una sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania che, rigettandone l’appello, aveva riconosciuto a un avvocato il rimborso dell’IRAP versata per gli anni 2000-2004, ritenendo l’impiego di un solo lavoratore dipendente con mansioni di segretario (e di beni strumentali minimi) insufficiente a configurare l’autonoma organizzazione di cui all’art. 2 d.lgs n. 446/97.
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Consecuzione tra procedure e creditori del socio illimitatamente responsabile
La variabile consecuzione tra procedure: il caso delle società di persone
Il principio della consecuzione tra la procedura di concordato preventivo e il fallimento non trova applicazione con riferimento ai creditori personali dei soci illimitatamente personali di una società di persone, in quanto il concordato preventivo della società ha effetto nei confronti dei soci esclusivamente per i debiti sociali.
Tale principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione, sentenza n. 7324/2016, nel decidere un ricorso presentato da un istituto di credito avverso un decreto del Tribunale di Verona che aveva respinto l’opposizione allo stato passivo di un fallimento, formulata dalla stessa banca ricorrente.
Nel merito, la ricorrente aveva chiesto l’ammissione al passivo del fallimento di una società in accomandita semplice e dei tre soci accomandatari, asserendo di essere creditrice di una diversa società, operante nel settore della distribuzione alimentare, per l’importo di € 238.802,84, quale scoperto di conto corrente. Detta apertura di credito era assistita da fideiussione solidale di due dei soci illimitatamente responsabili della società fallita, prima ammessa a concordato preventivo. Nel ricorso ex art 93 L.F. la banca aveva chiesto l’ ammissione del credito al privilegio ipotecario, in virtù dell’ipoteca giudiziale iscritta sui beni dei soci della fallita, sulla base del decreto ingiuntivo ottenuto nei confronti dei due soci accomandatari e garanti in solido. In sede di esame delle domande di ammissione, il Giudice delegato aveva revocato in via breve l’iscrizione ipotecaria, in quanto effettuata nei sei mesi precedenti all’ammissione della procedura di concordato, seguita poi dal fallimento della società e dei soci garanti. Nell’ambito del giudizio di opposizione, il Tribunale, ritenuta sussistente la continuità tra le procedure di concordato e fallimento, confermava l’ammissione del credito della banca al chirografo.
La ricorrente lamentava la violazione e la falsa applicazione dell’art 67, comma 1 n. 4 L.F. in combinato disposto con gli artt. 5, 160, 169 e 147 L.F., in quanto la consecutività sussiste soltanto qualora vi sia una pluralità di procedure, situazione che, a dire della banca ricorrente, non sussisteva nel caso di specie. I beni dei soci accomandatari sui quali è stata iscritta l’ipoteca giudiziale, assoggettata a revocatoria per il fallimento “consecutivo”, sono stati assoggettati soltanto al fallimento, mentre l’ammissione al concordato è stata disposta esclusivamente nei confronti della società.
Il Collegio, nel motivare la sentenza, ha evidenziato che la giurisprudenza di legittimità è ferma nel considerare che la consecuzione delle procedure, ossia la considerazione unitaria della procedura di concordato a cui segua quella di fallimento, determina, con riguardo alla revocatoria fallimentare, la retrodatazione al momento dell’ammissione al concordato del termine del periodo sospetto, in quanto la successiva dichiarazione di fallimento è conseguenza del medesimo stato d’insolvenza.
Sulla base di questa premessa, i Giudici di Piazza Cavour hanno evidenziato che il principio della consecuzione delle procedure non può trovare applicazione con riferimento ai creditori personali dei soci di una società di persone, in quanto l’efficacia del concordato nei confronti dei soci è limitata ai debiti sociali e non a quelli personali. La richiesta di concordato formulata dai soci illimitatamente responsabili, contestualmente al concordato della società, è inammissibile, in quanto i soci non rivestono la qualifica di imprenditori. Ne consegue che l’efficacia del concordato della società nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, ex art 184 comma 2 L.F., non coinvolge i crediti personali dei soci, che, pertanto, non possono essere sottoposti alla falcida concordataria.
In applicazione di detti principi, la Corte ha accolto il ricorso della banca ricorrente, sottolineando che la mancata applicazione del principio di consecuzione delle procedure per i debiti personali dei soci accomandatari, implica che il termine per l’esercizio delle azioni revocatorie venga calcolato dalla data di dichiarazione del fallimento dei soci accomandatari, ai sensi dell’art 147 L.F., anziché dalla data di ammissione della società di persone al concordato.
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