Concordato e transazione fiscale
La transazione fiscale non è obbligatoria ma la soddisfazione parziale del credito erariale privilegiato rende necessaria la finanza esterna per la soddisfazione dei creditori privilegiati di grado inferiore
Con una concisa ma chiara pronuncia (Cass. Civ. Sez. I 16066/2018), la prima sezione civile della Corte di cassazione ha ribadito alcuni principi cardine nel rapporto tra concordato con stralcio dei crediti erariali e transazione fiscale di cui all’art. 182 ter L.F.
La Corte ha ribadito la stabilità del principio secondo cui la transazione fiscale è un sub-procedimento facoltativo che può (ma non deve) essere avviato dal debitore che abbia la necessità ad ottenere il voto favorevole degli enti interessati.
In assenza della transazione fiscale, la corte ha ribadito l’applicabilità delle regole generali dello stralcio dei debiti privilegiati anche alle pretese erariali. Ne consegue, secondo la Corte, che qualora vi sia uno stralcio del debito privilegiato (con l’attestazione che comunque la soddisfazione riservata al creditore privilegiato è maggiore rispetto allo scenario liquidatorio), la soddisfazione dei crediti di grado inferiore presuppone l’utilizzo di finanza esterna. Infatti, argomentando in modo contrario, si consentirebbe una illegittima inversione dell’ordine dei privilegi.
Atti in frode e revoca del concordato
Una tardiva disclosure non salva il concordato e non è necessario il voto dei creditori.
Cass. Civ. 5 maggio 2016, n. 9027
La Corte di Cassazione torna sull’annoso tema della rilevanza della disclosure in un procedimento per concordato preventivo per ribadire che l’esistenza di atti di frode rende necessario il subprocedimento di revoca della procedura di concordato ai sensi dell’art. 173 L.F.
I Giudici di piazza Cavour richiamano un principio già affermato precedentemente per cui, nonostante la riforma dell’istituto concordatario abbia voluto introdurre una maggiore flessibilità negoziale, la sussistenza di ragioni di carattere pubblicistico rendono inevitabile la revoca del concordato in caso di condotte fraudolente anche senza che sia necessario che i creditori, informati a seguito dei rilievi del commissario, esprimano il loro voto.
La Corte ne approfitta per ribadire le caratteristiche che l’atto in frode deve avere: esso può essere costituito da un atto che abbia anche solo una mera potenzialità decettiva ma deve essere posto in essere dolosamente, cioè nella consapevolezza di rendere un quadro inveritiero ai creditori chiamati al voto. Tuttavia, la Corte, pur rigettando nel caso di specie il ricorso, non sembra chiudere alla possibilità per il debitore, che voglia accedere al concordato e che abbia presentato una proposta difettosa, di modificare la proposta concordataria in corso di procedura in modo da ovviare ai difetti informativi della originaria proposta.
Se tale orientamento effettivamente si consolidasse, potrebbe forse trovare un equilibrio anche il difficile rapporto tra procedimento di revoca per atti in frode e concordato in bianco. Durante la fase del concordato in bianco, infatti, rimane inevitabilmente dubbio se possa revocarsi un concordato per quegli atti in frode che, se fatti conoscere ai creditori con la proposta completa, potrebbero essere superati dal voto favorevole dei creditori.
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Concordato, IVA e ordine dei privilegi
Il pagamento integrale di IVA e ritenute non versate non rende inammissibile il concordato anche se lo stesso prevede lo stralcio di creditori con un grado di privilegio maggiore.
Con sentenza depositata il 9 febbraio, la terza sezione della Corte di Cassazione si è espressa a favore della società che, con ricorso strordinario ex art. 111 Cost., ha impugnato il decreto con il quale il giudice di prime cure ha dichiarato inammissibile la sua domanda di concordato preventivo.
Il piano concordatario era edificato sul pagamento integrale dei crediti privilegiati relativi a IVA e ritenute non versate, a scapito, tuttavia, di quelli di pertinenza dei dipendenti e dei professionisti, che sarebbero stati soddisfatti soltanto parzialmente. Parte attrice veniva interdetta alla possibilità di entrare in concordato preventivo perché il tribunale competente a ricevere la domanda eccepiva che, così come presentata, la stessa si sarebbe tradotta in una indebita alterazione della cause legittime di prelazione e, di conseguenza, in una violazione dell’art. 160 legge fallimentare. Ricorreva in Cassazione la società ravvisando nel decreto del giudice di merito la violazione degli articoli 160 e 182 ter della legge fallimentare. La domanda di concordato, infatti, prevedeva la suddivisione in classi dei creditori privilegiati, la prima delle quali comprendeva gli unici crediti (per IVA e ritenute non versate) che, per le loro caratteristiche, sarebbero stati pagati per intero.
Quanto previsto era perfettamente coerente al dettato normativo che, proprio all’art. 160 comma II legge fallimentare, conferma la facoltà per l’imprenditore di non soddisfare integralmente quei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, purché il piano presentato ne preveda una soddisfazione non inferiore a quella realizzabile sul ricavato in caso di liquidazione.
Nelle motivazioni della propria decisione, la Suprema Corte ha ribadito l’orientamento dalla stessa in precedenza già adottato (si veda Cass. 22932/2011) per cui, in presenza di crediti relativi ad IVA e a ritenute non versate, la proposta di concordato preventivo, per essere approvata, deve necessariamente prevedere il soddisfacimento completo dei crediti medesimi. Tale esigenza non è estesa a quei crediti che, seppur anteriori e anch’essi privilegiati, non presentino le stesse peculiarità, per i quali è ammesso anche un soddisfacimento parziale.
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Concordato e gruppo di imprese
Il concordato di gruppo é inammissibile in assenza di una legislazione ad hoc
Cass. Civ. 13 ottoobre 2015 n. 20559
IL CASO – Quattro società di capitali appartenenti al medesimo gruppo, al fine di presentare un’unica proposta di concordato, costituiscono una società di persone in cui conferiscono il proprio patrimonio aziendale. La proposta che segue mantiene la distinzione tra le masse delle società di ciascuna delle società di capitali socie e conferenti. Il concordato viene omologato e le censure formulate in appello da quattro creditori vengono respinte dalla Corte d’appello genovese. I creditori e l’agenzia delle entrate interpongono ricorso in cassazione.
La Cassazione, con una motivazione a dire il vero asciutta, aderisce alla prospettazione dei creditori.
I giudici di piazza Cavour sottolineano, infatti, che nella realtà economica odierna le imprese operanti sul mercato sono frequentemente organizzate in gruppi di società e che, tuttavia, l’attuale sistema del diritto fallimentare, “non conosce il fenomeno, non dettando alcuna disciplina al riguardo, che si collochi sulla falsariga di quella enunciata in tema di amministrazione straordinaria alla L. 8 luglio 1999, n. 270, art. 80 e ss., o dal D.L. 23 dicembre 2003, n. 347, art. 4 bis, sulla ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza, convertito, con modificazioni, in L. 18 febbraio 2004, n. 39, o con riguardo ai gruppi bancari od assicurativi insolventi”.
Nondimeno, la Corte non si astiene dal formulare alcune osservazioni che possono costituire utili principi operativi che devono presiedere, nel silenzio del legislatore, alle domande concordatarie connesse per il fatto di essere relative a societá appartenenti al medesimo gruppo. In particolare:
- Il coordinamento tra procedure di concordato che hanno una diversa competenza territoriale può operare solo sul piano materiale non operando il meccanismo processuale della connessione e la conseguente attrazione di una procedura a foro diverso.
- In presenza di più imprese appartenenti allo stesso gruppo, in assenza di una disciplina che regoli la materia diversamente, sarà necessario presentare una domanda per ciascuna società del gruppo.
- Occorre tenere distinte le masse attive e passive, che conservano la loro autonomia giuridica, dovendo restare separate le posizioni debitorie e creditorie delle singole società, onde evitare che i creditori delle società meno capienti concorrano inammissibilmente con quelli delle società più capienti e che vengano alterati i meccanismi di voto e di formazione del consenso sulle proposte concordatarie.
La Cassazione, pertanto, non coglie gli stimoli espansivi offertigli dalla giurisprudenza di merito (si erano espressi favorevolmente, tra gli altri, Trib. Terni 30 dicembre 2010, Trib. Roma 7 marzo 2011, Trib. La Spezia 2 maggio 2011, App. Genova 23 dicembre 2011, Trib.Benevento 18 gennaio 2012; Trib. Roma 25 luglio 2012; App. Roma 5 marzo 2013; Trib. Rovigo 5 novembre 2013 e, più recentemente, Trib. Ferrara 8 aprile 2014 e Trib. Palermo 9 giugno 2014) ribadendo una netta chiusura ad una valorizzazione della nozione di gruppo di imprese. Non rimane che attendere una disciplina esplicita dell’insolvenza di gruppo che dovrebbe essere oggetto dei lavori della commissione Rordorf il cui progetto di riforma organica dovrebbe essere in dirittura di arrivo.