IVA e momento impositivo
IVA e compensi professionali percepiti dopo la cassazione dell’attività
Con la Sentenza n. 8059/2016, le Sezioni Unite, chiamate ad esprimersi sull’assoggettabilità o meno ad IVA dei compensi percepiti dal professionista dopo la cessazione della propria attività ma relativi a prestazioni eseguite nell’ambito della stessa, hanno recentemente affermato che “il compenso di prestazione professionale è imponibile a fini IVA, anche se percepito successivamente alla cessazione dell’attività, nel cui ambito la prestazione è stata effettuata, ed alla relativa formalizzazione”.
Alla base di tale principio la distinzione concettuale tra “fatto generatore” ed “esigibilità” dell’imposta e l’obbligo di un’interpretazione dell’art. 6, co. 3 d.p.r. 633/1972 conforme alle indicazioni emergenti dalla disciplina comunitaria.
Il fatto
L’Agenzia delle Entrate impugnava una sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, che aveva ritenuto illegittimo il recupero IVA operato dall’Agenzia su un compenso professionale percepito dal contribuente nel 2002 per una prestazione effettuata prima della cessazione della propria attività di architetto, intervenuta nel 1997, rilevando la carenza della qualifica di professionista al momento della riscossione.
In particolare, l’Agenzia lamentava che tale sentenza non avesse considerato che una prestazione di servizi, imponibile ai fini IVA al momento della sua esecuzione, resta certamente tale anche se il relativo corrispettivo venga conseguito dopo la cessazione dell’attività professionale nell’ambito della quale la prestazione è stata effettuata.
La causa veniva rimessa alle Sezioni Unite.
La decisione
Le Sezioni Unite evidenziano innanzitutto come gli Stati membri possano derogare alla disciplina comunitaria con riguardo alle condizioni di esigibilità dell’IVAma non anche in merito all’identificazione del fatto generatore dell’imposta, che, secondo l’ordinamento comunitario, è una nozione concettualmente autonoma e distinta da quella dell’esigibilità dell’imposta, ed è ancorato alla cessione del bene o prestazione del servizio e non al pagamento del relativo corrispettivo.
Ne deriva che l’art. 6 co. 3 d.p.r. 633/1972 non può che essere letto, in doverosa aderenza alla disciplina europea, nel senso di ritenere, quale presupposto impositivo, non il pagamento del compenso -che, per esigenze di semplificazione funzionali alla riscossione, costituisce mera condizione di esigibilità (e termine ultimo per l’adempimento dell’obbligo di fatturazione)-, ma il materiale espletamento dell’operazione.
Al verificarsi del fatto generatore dell’imposta (e suo presupposto oggettivo) ricorre dunque necessariamente anche il relativo presupposto soggettivo.
Del resto -osserva la Suprema Corte-, tale soluzione è imposta anche dalla necessità di garantire il pieno rispetto del principio di neutralità fiscale dell’IVA -atteso che solo con l’assoggettabilità ad IVA dei compensi di cui si discute si risponde all’esigenza di impedire la sottrazione al prelievo sul consumo del valore aggiunto relativo ad operazione di prestazione di servizi, che, inquadrata in regime fiscale IVA, ha partecipato delle detrazioni d’imposta sugli acquisti “a monte”-, e trova pieno riscontro nel principio generale di effettività -secondo cui l’applicazione della disciplina IVA, dipendendo unicamente dalla sussistenza di presupposti di fatto, non può essere in alcun modo condizionata da fattori meramente formali, quali la dichiarazione di cessazione dell’attività ex art. 35 d.p.r. 633/72 (definita di carattere “anagrafico”) e la dismissione della partita IVA (di natura puramente strumentale).
- Pubblicato il Tributario e fisco
Procedura e IVA
Omesso versamento IVA e concordato.
Nel momento in cui il debitore accede alla procedura di concordato preventivo, la gestione dei debiti dello stesso, fino ad allora autonoma e privata, assume una rilevanza pubblicistica. Pur dando spazio ad interessi privati, il concordato permette infatti al debitore di consegnare la gestione della sua crisi ad uno strumento qualificabile come pubblico. A questo proposito, basti pensare, ad esempio, che dal momento del deposito della domanda di concordato, i creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore, la gestione dei beni e dell’impresa è sottoposta al controllo del commissario giudiziale e del giudice delegato, e che dal diniego dell’omologazione si può passare direttamente alla sentenza di fallimento, emessa contestualmente al decreto che respinge il concordato, il quale rappresenta pur sempre una particolare domanda giurisdizionale, alternativa a quella di dichiarazione di fallimento e a tutela della collettività. Pertanto, se la dilazione del pagamento IVA (secondo la giurisprudenza di legittimità, ammissibile in ogni tipologia di concordato) rientra nell’ambito del piano concordatario, ciò non può certo essere irrilevante ai fini penali. Del resto, consentire al giudice fallimentare di ammettere l’imprenditore al concordato che prevede il pagamento dell’IVA oltre il termine previsto e a quello penale di condannare per il reato di omesso versamento IVA lo stesso imprenditore che ha eseguito l’accordo omologato (la cui domanda era stata peraltro ab origine comunicata anche al pubblico ministero) costituisce infatti una “evidente e insostenibile frattura ordinamentale”.
Sulla base di questa motivazione, con la sentenza n. 15853/2015, la Suprema Corte di Cassazione ha escluso che possa sussistere il fumus commissi delicti del reato di cui all’art. 10 ter d.lvo 74/2000 quando un debitore è ammesso al concordato preventivo prima della scadenza del termine per il versamento di un debito IVA e il suo debito viene incluso nel piano concordatario. Con questa Pronuncia che ha sottolineato come la legge penale non possa essere intesa in modo avulso dagli altri settori pubblicistici dell’ordinamento giuridico, sembra quindi superato quell’orientamento giurisprudenziale più restrittivo (v., ad es., Cass. pen. nn. 44283 e 39101/13) che, in virtù del principio di indisponibilità del debito IVA, riteneva che, in assenza di un accordo di transazione fiscale, il reato di cui all’art. 10 ter d.lvo 74/2000 reato omissivo istantaneo venisse comunque integrato alla scadenza del termine previsto per il versamento dell’IVA, indipendentemente dall’antecedente ammissione del debitore al concordato.
- Pubblicato il Accordi, Ristrutturazioni e procedure concorsuali