Concordato e transazione fiscale
La transazione fiscale non è obbligatoria ma la soddisfazione parziale del credito erariale privilegiato rende necessaria la finanza esterna per la soddisfazione dei creditori privilegiati di grado inferiore
Con una concisa ma chiara pronuncia (Cass. Civ. Sez. I 16066/2018), la prima sezione civile della Corte di cassazione ha ribadito alcuni principi cardine nel rapporto tra concordato con stralcio dei crediti erariali e transazione fiscale di cui all’art. 182 ter L.F.
La Corte ha ribadito la stabilità del principio secondo cui la transazione fiscale è un sub-procedimento facoltativo che può (ma non deve) essere avviato dal debitore che abbia la necessità ad ottenere il voto favorevole degli enti interessati.
In assenza della transazione fiscale, la corte ha ribadito l’applicabilità delle regole generali dello stralcio dei debiti privilegiati anche alle pretese erariali. Ne consegue, secondo la Corte, che qualora vi sia uno stralcio del debito privilegiato (con l’attestazione che comunque la soddisfazione riservata al creditore privilegiato è maggiore rispetto allo scenario liquidatorio), la soddisfazione dei crediti di grado inferiore presuppone l’utilizzo di finanza esterna. Infatti, argomentando in modo contrario, si consentirebbe una illegittima inversione dell’ordine dei privilegi.
Concordato, IVA e ordine dei privilegi
Il pagamento integrale di IVA e ritenute non versate non rende inammissibile il concordato anche se lo stesso prevede lo stralcio di creditori con un grado di privilegio maggiore.
Con sentenza depositata il 9 febbraio, la terza sezione della Corte di Cassazione si è espressa a favore della società che, con ricorso strordinario ex art. 111 Cost., ha impugnato il decreto con il quale il giudice di prime cure ha dichiarato inammissibile la sua domanda di concordato preventivo.
Il piano concordatario era edificato sul pagamento integrale dei crediti privilegiati relativi a IVA e ritenute non versate, a scapito, tuttavia, di quelli di pertinenza dei dipendenti e dei professionisti, che sarebbero stati soddisfatti soltanto parzialmente. Parte attrice veniva interdetta alla possibilità di entrare in concordato preventivo perché il tribunale competente a ricevere la domanda eccepiva che, così come presentata, la stessa si sarebbe tradotta in una indebita alterazione della cause legittime di prelazione e, di conseguenza, in una violazione dell’art. 160 legge fallimentare. Ricorreva in Cassazione la società ravvisando nel decreto del giudice di merito la violazione degli articoli 160 e 182 ter della legge fallimentare. La domanda di concordato, infatti, prevedeva la suddivisione in classi dei creditori privilegiati, la prima delle quali comprendeva gli unici crediti (per IVA e ritenute non versate) che, per le loro caratteristiche, sarebbero stati pagati per intero.
Quanto previsto era perfettamente coerente al dettato normativo che, proprio all’art. 160 comma II legge fallimentare, conferma la facoltà per l’imprenditore di non soddisfare integralmente quei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, purché il piano presentato ne preveda una soddisfazione non inferiore a quella realizzabile sul ricavato in caso di liquidazione.
Nelle motivazioni della propria decisione, la Suprema Corte ha ribadito l’orientamento dalla stessa in precedenza già adottato (si veda Cass. 22932/2011) per cui, in presenza di crediti relativi ad IVA e a ritenute non versate, la proposta di concordato preventivo, per essere approvata, deve necessariamente prevedere il soddisfacimento completo dei crediti medesimi. Tale esigenza non è estesa a quei crediti che, seppur anteriori e anch’essi privilegiati, non presentino le stesse peculiarità, per i quali è ammesso anche un soddisfacimento parziale.
- Pubblicato il Accordi, Ristrutturazioni e procedure concorsuali